Io invece a distanza di quasi 3 anni dall'uscita di quel mio libro su Piero, che è una gran fatica da trovare, volevo lasciare quest'intervista fatta a Ezio Vendrame su Piero. Anche Ezio come Piero, se ne avete le possibilità conoscetelo.
Un abbraccio a Piero, sempre per sempre.
È impossibile raccontare Piero Ciampi senza toglierli qualcosa.
Piero andava vissuto e basta.
Ho avuto il privilegio di incontralo e poi di essergli amico; mi ha scombinato il dna.
Quando la mia Anima l’ha fatto suo, poi ha chiuso la porta. Piero per me era l’Amore. Poi diventò il mio destino.
Il suo inferno era quello che non poteva dimenticare niente; frugava ontinuamente nella memoria, e aveva la mente sfondata dalla lucidità.
Era un Cristo, un vero Cristo che aveva scelto di perdere fino la morte, pur di vincere.
Quindi un poeta autentico.
Era talmente grande, che riusciva perfino ad amare questo mondo orribile.
Piero non cercava più niente, è questa la cosa più terribile, pagando sempre per ogni suo errore, soprattutto quello di vivere.
Piero tu spesso lo rappresenti come un "Un Cristo", o forse meglio un "Un Cristo tra i chitarristi"...
Ci sono dei Cristi che son stati crocefissi a trentatrè anni, ma lui è nato crocefisso mi sembrava, questa è la differenza.
Le immagini religiose, tra le quali proprio Cristo in particolare modo, vengono spesso inserite nei suoi brani. Questa figura, quale valore aveva per Piero secondo te?
Ricordo che una sera si incazzato nero, perché trovò il Duomo di Milano chiuso la notte, lui avrebbe voluto dormirci dentro; trovava assurdo che la casa di Dio fosse chiusa la notte, quando i veri bisognosi avrebbero potuto riposarvi.
In ogni canzone Piero parla della sua vita.
E' questione di sentire le cose, di sensibilità, di cosa c'è anche alle spalle sicuramente, perché ognuno di noi, "è ciò che ci hanno fatto".
Piero molto probabilmente, vista questa sua grande sensibilità, non ha retto al fatto di aver perso da giovane una madre che amava così tanto; ma pure la perdita di una amico come Luigi Tenco fu molto incisiva.
La madre di Luigi dopo il suicidio del figlio, teneva dei rapporti umani quasi esclusivamente con Piero Ciampi, scriveva soltanto a lui.
Ricordo che quando mi venne a trovare in questo buco di culo del mio paese, prima di morire, mi chiese se potevo portarlo sulla tomba di Pier Paolo Pasolini; io lo portai, e li scoppio in un pianto dirotto, senza singhiozzi, di sole lascrime che gli colavano giù per il viso; gli dissi, ma che cazzo fai Piero? Perché piangi che mi hai chiesto tu di portarmi qua?
Mi rispose che stava piangendo perché si trovava sopra la tomba di Pier Paolo Pasolini, ma non era mai stato in tutta la sua vita su quella di sua madre.
Da li ho capito quanto gli fosse mancata, di quanto fosse stata importante per lui, e quanto sia stata poi determinante per tutta la sua vita, in certe sue scelte.
Poi è questione di sensibilità, di come uno vive le cose personalmente, e lui aveva questa sensibilità esasperata su tutto, anche nei riguardi delle notizie; noi, che siamo bombardati dalle cattive notizie, dalla cronaca, ci fanno rimbalzano queste notizie di delitti e massacri...
Quasi la cronaca facesse gossip...
Sì, invece lui ne soffriva molto, in questo senso, ho scoperto Piero più volte a leggere queste notizie e vedergli dei lacrimoni che gli scendevano giù per le guance.
E' facile raccontare delle cose, è viverle che è più difficile.
Ho avuto il privilegio di conoscere in che inferni vivesse che da una parte mi affascinavano; avrei voluto viverli io, ma non è da tutti, è li la differenza.
Io vivo i miei inferni come tutte le persone di una certa sensibilità, di una certa inquietudine, ma che poi magari d'inverno hanno bisogno del riscaldamento, o di un materasso su cui riposare le proprie ossa; questi privilegi da comune mortali.
Invece lui ha avuto il coraggio di vivere come solo i poeti autentici, i fuoricalasse del coraggio possono.
Delle sere Pino Pavone, e Marcello Micci lo andavano a cercare, perché magari era qualche giorno che non tornava, lo cercavano nei posti più assurdi, tra le vie sperdute, o in chissà quali posti; in una notte fonda lo trovarono seduto su di un marciapiede che beveva dell'alcool denaturato in mezzo a dei topi.
Questo me lo raccontarono Marcello e Pino, e fu un episodio che mi devastò.
Anche quando veniva a casa mia a dormire e si spogliava, aveva questa corporatura scheletrica, era tutt'ossi, ricoperto da una pelle sottile, sottile, e la mattina quando si svegliava c'erano sempre le lenzuola fradice, zuppe; probabilmente l'alcool che gli evaporava da quella pelle sottile.
Ma la grandezza di Piero è che tutto questo, lo viveva con grande amore, non con grande esasperazione, diceva sempre che l'amore è il marito della vita.
Ed è qui che diventa immenso secondo me.
Ricordo che quando venne a trovarmi a casa io abitavo al primo piano, quindi bisognava fare una rampa di scale per arrivarci; avevo visto e assistito alle sue infinite bevute, così avevo paura a vederlo scendere le scale, ma ogni volta che tentavo di dargli un aiuto, un sostegno, si incazzava.
Non voleva mai essere aiutato e non lo ho mai visto perdere la sua lucidità; aveva sempre delle cose che ti inchiodavano li, era la parola di un Cristo, e non potevi non essere preso, coinvolto, è fatica raccontarlo, lui ti rapiva anima e corpo, e non c'era un cazzo da fare; così succedeva anche con le persone che non lo conoscevano.
Pur non avendo mai una lira, viaggiava sempre in tassì, e gli stessi tassisti, pur sapendo sarebbe stata una corsa a vuoto, che non avrebbero beccato una lira, facevano a gara pur di accompagnarlo dove voleva; ricordo che una volta lo invitarono a Cortina a fare una serata, lui arrivò a Venezia, e da lì prese un tassì, senza un soldo in tasca.
Venezia-Cortina sono circa centoquaranta chilometri, e il tassista che lo portò, poi non solo non volle una lira, ma non voleva più tornare indietro, avrebbe voluto passare la sua vita con Piero, perché una volta che a Piero Ciampi davi la possibilità di parlare eri fregato, ti incantava.
Nella nostra amicizia, in un certo senso lo ho sentito più lui amico verso me, di quanto io non sia riuscito ad esserlo con lui; ho capito dopo tante cose.
Lui amava profondamente i suoi amici, anche se non era assolutamente affidabile su quello che diceva.
L'ultima volta che mi telefonò, voleva stare con me, e mi promise di fare il buono, il bravo, proprio come un bambino, "Non berrò", mi disse per tranquillizzarmi, e quando lo andai a prendere all'aeroporto Marco Polo a Venezia, da Venezia al mio paese che erano circa cento chilometri, mi fece fermare venti volte; al mio paese quando seppe che si trovava anche la cantina "vini e delizie" mi esclamò, io da quì non mi muovo più!".
E ridendo "Ezio tu sei pazzo...Io bevo?"... Tipo "Chi io? ma sei matto..!?"
In una nottata di quelle che si fermò qua, bisticciammo pesantemente, perché al piano di sotto c'erano dei bambini che dormivano; gli chiesi di fare piano per non disturbare. Più dicevo così, più si incazzava, e vegliare Piero la notte era una cosa atroce, perchè la notte lui continuava a bere, e a fumare, io guardavo che non si addormentasse con la sigaretta accesa.
Bastava dirgli solo fai il bravo che si incazzava come una iena, si metteva a urlare "Dimmi che siamo in una prigione", la mattina successiva alle otto, seduto sul divano di casa mia, mentre si stava tracannando l'ennesimo bicchiere di Whisky, mi sfogai, gli dissi di tutto, "Sei un pezzo di merda, non mi vuoi bene", gli dissi persino che fece bene l'RCA, a cacciarlo via; di tutti i colori gli urlai.
Lui invece non si scompose nemmeno, mentre sorseggiava questo bicchiere di whisky, mi guardò con grande amore e mi disse: "Giustamente, giustamente, Ezio, ma io sono un poeta".
E aveva ragione, un poeta si deve amare per quello che è, ed io in quel periodo probabilmente lo amavo solo fin dove faceva comodo a me.
Per questo mi sento tutt'ora in colpa, anche perché dopo quel giorno, quando lo riaccompagnai alla stazione, mi disse piangendo, che lui era venuto da me con tanto amore, e che io lo cacciavo via con odio invece.
Da Casarsa, il mio paese a Roma, ci impiegò quattro mesi ad arrivare, perché diceva che non è importante quando si arriva in un posto, ma arrivarci prima o poi.
Lui non aveva orologi, non guardava le stazioni, prendeva andava verso Roma, verso Milano, o verso la Jugoslavia, era la stessa cosa.
Una volta mi raccontò che era andato a dormire in un albergo a Livorno, e al mattino gli avevano chiesto trenta mila lire per dormire, che lui non avrebbe comunque dato, ma non era per questo che se l'era presa; era incazzato perché gli avevano chiesto del volgarissimo denaro per dormire sulla sua terra, e quella terra era sua.
Poi è fatica a raccontare Piero, pur amandolo gli si toglie sempre qualcosa.
Io che ho conosciuto la mamma di Marcello posso dire che è stata anche la mamma di Piero, per cui lì trovava un calore familiare.
Per cui ogni canzone è Piero; da dopo Piero Litaliano, lui è sempre Piero Ciampi.
Pezzi come "Tu no, Sporca estate, In un Palazzo di giustizia sono dei capolavori, e ancora quì in Italia con questo merdaio che c'è, non riescono ad essere capiti.
Era talmente grande, ed è talmente grande che è ancora troppo avanti, e lo sarà sempre probabilmente.
Anche se tu leggi le sue lettere, quando scriveva alla sua Gabriellina da questo suo mondo di illusioni, che le chiedeva mille lire, "Perché ho scritto delle cose bellissime", e poi invece non ha avuto niente di tutto questo.
Ed adesso che senso ha? Adesso può avere un senso per quei pochi che lo amano, che lo amano anche da prima.
Però a lui non è stato dato niente, nemmeno dagli stessi cantautori che hanno avuto la fortuna di scalare certe classifiche di merda.
A me interessa solo avere avuto questa grande ricchezza e privilegio nel conoscere lui e le sue cose. Per il resto che vadano tutti a fare in culo.
Piero Ciampi, per me è sempre stato ed è un grandissimo poeta, il più grande di tutti in assoluto, anche se non avesse scritto un verso, perché lui viveva da poeta, è questo che faceva la differenza; io ho visto dove viveva, e come viveva.
Quando lo conobbi, stava in via medaglie d'oro, per scendere a questa sua abitazione, stamberga, inferno che non saprei definire, c'era una discesa per le macchine.
Lui era molto instabile sulle gambe, e per questo aveva paura di cadere, temeva le fratture; così quando rientrava si stendeva in cima la discesa, e si faceva rotolar giù fino la porta, invece, non gli fregava nulla dei raffreddori, delle influenze, "Se mi viene un raffreddore lo mando affanculo"mi disse.
In questo sua "casa", non c'erano chiavi, né nulla, avrebbe potuto entrare chiunque, era un garage sotto un condominio, non c'era riscaldamento, nè luce, ci saranno stati mille vuoti di bottiglie, una vecchia sedia che usava come armadio dove posare questo suo lupetto nero di sempre, poi due fotografie ingiallite dall'usura e dal tempo dei suoi due figli, di Steven e di Mira, così senza nessuna cornice.
Secondo me l'idea dei figli, era per lui una lama conficcata continuamente nel cuore.
Eppure nonostante tutto, non lo ho mai visto disperarsi di questa situzione; quando andavamo a prenderlo con Marcello Micci e Pino Pavone, ti regalava sempre questo suo grande sorriso, che poteva essere amaro, ma lui non si piangeva mai addosso.
La prima volta che entrai in questo suo posto gli chiesi: "Ma Piero, come fai a vivere quì?"
Lui mi rispose, "Io ho paura soltanto delle fratture"
Insomma viveva da vero poeta, con questo coraggio; poi che abbia scritto delle cose bellissime è vero, ma sono cose in più, sono una conseguenza.
Piero era una persona bellissima, intelligentissima, aveva una cultura spaventosa, che usava soltanto con gli intellettuali di merda, quelli che ne vogliono sapere sempre una pagina più del libro.
Diversamente, Piero si concedeva sempre con grande amore e questo lo rendeva grandissimo, usava una terminologia che arrivava a tutti, io lo ho visto più volte sfoderare la sua cultura con delle persone che volevano farsi vedere, e lui con questi era spietato, li uccideva.
Ricordo una volta che aveva lasciato da poco Cortina, mi venne a trovare e con me c'era ache mio padre.
Mio padre sapendo che Piero era appena tornato da questo posto, pur di dire qualcosa gli disse "Bella Cortina!"
E Piero gli rispose: "Beppino, tu non capisci un cazzo, come può essere bello un posto pieno di salite edi discese!?"
Piero era tutto questo e molto di più.
Poi questo cancro alla gola se l'è portato via, e conoscendolo così timoroso degli ospedali e delle malattie, credo l'abbia vissuto male, anche se sì, ad un certo momento non gli fregava di nulla, una volta mi disse: "Il mio primo sfratto è stato quando sono nato, quello è stato il mio primo sfratto, stavo così bene, la al calduccio, e quando sono uscito ho cacciato un urlo perché non volevo uscire...! Adesso mi fanno ridere quando mi cacciano dall'appartamento!"
Era fortissimo, sempre.
Il giorno dopo la sua morte, il messaggero di Roma metteva "E' morto Piero Ciampi"; l'han trattato come un poeta vero, non se ne sono neanche accorti che era morto un grande, e in questo senso l'han trattato da poeta vero, è giusto che sia stato così.
All'ospedale chiese una rosa rossa e un bicchiere di vino, da Cristo da vero Cristo, anzi più Cristo, dell'altro Cristo che ha avuto molta più pubblicità.
Anche Leo Ferrè era un grande, so che lo conobbe a Parigi.
Mi raccontò il regista Claudio Bonivento, che quando aveva diciannove anni ha fatto per alcuni anni l'autista per Leo Ferrè, e alla frontiera di Ventimiglia, una guardia di confine li fermarono, gli disse: "Aprite i bagagli, voi bombaroli", perché dai tratti somatici e dalla presenza in periodo di brigate rosse avevano tutte le carte in regola per poterlo essere, così Leo Ferrè, scese dalla macchina con questa valigetta nera "tipo romania", praticamente si rivolse, alla guardia e gli disse "Senti, io non sono un coglione come te, che nasconderebbe le bombe in una borsa, io le bombe le ho qua, nella testa", e con l'indice indicava la testa.
Per dire che personaggi incredibili c'erano; ormai in questo merdaio di mondo non si ripresenteranno più. Non c'è speranza.
Lui viveva in questo mondo delle illusioni, ci sperava, non per arricchirsi, per sentirsi apprezzato.
Era troppo avanti, e poi era scomodo, e a quei tempi ancora di più.
Aveva unamarcia in più, ma era fuori, non voleva apparire a trasmissioni televisive, era una persona sensibile, schiva, emotiva, era un timodone in fin dei conti, e il pubblico, la gente lo spaventava.
Ma lui amava tutti.
Io non l'ho vissuto come poaaono averlo vissuto anche certi amici in comune, cioè delle volte lo stavo ad osservare a lungo, così, magari senza chiedergli niente; tanto non potevi non notare questa sua grande malinconia, questo suo grande star male, ma anche questa sua immensa dolcezza; una volta lo vidi arrivare, stranamente aveva ai piedi dei scarponcini anziché dei mocassini, lui comiciò ad accarezzarseli con estremo amore e delicatezza, e mentre faceva così diceva "Ezio varranno un miliardo!, me li ha fatti a mano un ambulante al quale ho dato ospitalità!"
Un altra volta Pino Lazzaro, questo mio amico di Padova era venuto al Derby, a Milano, per trovare Piero.
Piero per fargli un regalo, stacca una sua foto per scriverci sopra una dedica, Pino gli da un biro, ma sul lucido della foto scivola, non scrive, e cerca un pennarello, ma Piero gli dice calcando ancora più forte con la biro, "Eh no, se no, non c'è più sacrificio ", per rendere l'idea che le cose che si amano valgono lo sforzo.
Tutto quel cazzo che voleva. Certo era un poeta e andava preso per quel che era, dovevi fare i conti con la quotidianità, mangiare tutti i giorni, pagare l'affitto, e queste cose qua insomma...Con lui ti devi solo innamorare e basta.
E spesso capitava, tanto per dirne una, un giorno lo vedo arrivare con un maglione beige, anziché il suo solito lupetto nero, così con sorpresa, mentre lo toccava gli chiesi chi glielo aveva regalato.
Mi rispose che da un po' si frequentava con una donna che si stava prendendo cura di lui, della sua anima, e che quel maglioncino lo aveva fatto lei, e poi sorridendo mi dise "Ma non è come pensi te, io vado in un'altra stanza a dormire, e chiudo a due giri di mano la porta, perché vedessi quanto è brutta!"
Faceva morir dal ridere.
Piero mi è rimasto dentro, per troppe cose, così da quando mi è entrato non è mai più uscito, si è chiuso a chiave, mi ha lasciato tanto che è fatica a rendere l'idea.
Ho in mente due poesie che mi diceva, e sarebbero da far leggere a tanta a di quella gente...
Tu che vuoi essere qualcuno,
perché temevi
di non essere nessuno?
Abbi almeno rispetto di te stesso.
E tu che hai voluto essere una puttana
perché temevi di essere una vergine?
abbi più cura di te.
2 commenti:
Era una persona difficile, non è giusto farsi prendere dai sensi di colpa. Va bene l'amore per gli altri, o in questo caso per uno, un genio che tocca l'anima. Ma l'amore per se stessi?
E' il sè anche l'argomento degli scorsi post. La preservazione, la paura. Anche la stronzaggine ed il disprezzo.
A volte trovi tutte queste cose mescolate insieme.
L'umanità... l'umanità è anche questo. Non tutto, però. C'è anche altro, quel che si dice la luce.
Come le persone che regalano i biglietti del bus, ad esempio.
;) vero
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