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24 agosto 2008

I sogni che non fanno svegliare



Oggi è pure ancora domenica. E l'unica cosa positiva dell'atroce estate, è che l'atrocità della domenica si sente leggermente meno in questa desertificazione dei sensi stagionale.
Ogni mattino che mi sveglio mi pare quello del giorno prima, poi invece è un giorno in più, e non è lo stesso giorno, dire che nel mondo da un minuto all'altro ne capitano di guazzabugli nel bene e nel male; ma per me che sono entro le quattro mura di casa, è irrilevante finché un guazzabuglio che non siano le solite paturnie non mi viene a scaraventare di fuori. Ma le paturnie son costanti, quelle sì.

Il letto è quello, la tapparella che filtra la luce quella, più o meno attorcigliata nei sogni mica tanto belli che però uguale non fanno svegliare. Quest'estate mi sento di dire di non ave fatto praticamente nulla, ma non quel nulla che porta qualcosa, no, nulla, proprio nulla. Il nulla che porta ad aspettare che per un miracolo celeste succeda qualcosa, ogni tanto succede. Per lo meno non è come ridursi ad estrarre i numeri della tombolo sperando di estrarre una divinità che ti soccorra. No guardo direttamente al cielo dalla stanza, se poi mi vien da scrivere, dopo penso che probabilmente non son stata nemmeno io a farlo, non si può passare dall'inedia a qualcosa di sacro così, allora forse è un miracolo, ma certo tutto questo non dipende da me.

Però quest'estate di miracoli pochi, ma pochi davvero, certo si può sempre pensare che alla fine è relativo, quel che si fa che non si fa, alla fine giorni passano - e quando vedo certe gente che ne so che fa delle cose, penso ma guarda che deficienti, fan delle cose perfettamente inutili, ma io so anche che loro in questa inutilità si sentono perfettamente al loro posto, pieni, fatti, viventi.
Questi anche son pensieri che non portano a nulla, non dicono nulla di più e di meno di tutto quello che è già stato detto al mondo, ma forse si ha bisogno anche di questo, di ripetere i sentimenti universali con la propria di individualità.

Mi dà molto fastidio la cattiveria e l'ignoranza gratuita, quelli sì. Per il resto dovrei ringraziare così tanta gente che per rispetto loro, vedo di non confondere un nome con un altro. Nei sogni va un pò così.

7 commenti:

Anonimo ha detto...

A volte di miracolo ne basta uno.
Se arriva.
O ti accorgi che è arrivato, che non è così semplice.
O lo fai accadere.

Anonimo ha detto...

il tuo blog mi incute un senso di angoscia profonda... puro male di vivere che è molto peggio della cattiveria e dell'ignoranza gratuita, perchè stare male non è mai gratuito.
Tutta questa ostentazione di dolore esistenziale mi ricorda una massima di Cèline: "Gli uomini ci tengono bene ai loro brutti ricordi, a tutte le loro disgrazie e non si può tirarli via di li (...) si vendicano dell'igiustizia del loro presente accanendosi sull'avvenire nel fondo di se stessi a palle di merda"
Il mondo brucia e tu ti dai a questo sterile decadentismo di maniera...

Gisy ha detto...

@ I miracoli, succedono ogni istante, solo ci facciamo l'abitudine.

@ anonimo - credo sia il modo giusto di percepirmi.

Uno del resto può anche scegliere di non leggermi, se questi gli dà fastidio.

Anch'io delle volte vorrei non fosse così, o forse, non saprei farne a meno (di questo fondo).

Certo Cèline è un maestro, lui però credo, avesse la fortua di amare tremendamente la vita; come lui la morte credo "di sentirla" troppo spesso.

Forse parlarne anche pubblicamente è un modo per scacciarla e pensare che non sia davvero un fatto poi così intimo, forse.

Il male, non so se è sempre gratuito, ma quadno c'è, è male. Punto

Anonimo ha detto...

la morte è solo un fenomeno fisiologico-biologico... esorcizzarla non serve, occorre accettarla come una cosa naturale, prendere atto che veniamo dalla polvere e porvere torneremo ad essere...
e poi la nostra morte non ci riguarda semmai riguarda chi ci sopravvive e deve fare i conti con la nostra assenza.
Però se sei tanto disaffezionata alla vita non dovresti temere la morte... conosci già la solitudine e l'isolamento che ne è l'anticamera.

Anonimo ha detto...

Mi vien da pensare alla parabola del figliol prodigo, o a quella della pecorella smarrita. I protagonisti avevano smarrito la strada. O, forse, avevano incontrato difficoltà. Il dubbio, che può portare a farsi domande dolorose. Che il ritorno all'ovile sia il ritorno alla serenità? E' vero, si parla di peccato, principalmente. Ma vediamola anche da un altro punto di vista. La serenità, appunto. Una pecorella che torna all'ovile è come 99 che non sono mai scappate.
Perché? Perché ha trovato se stessa, è maturata. E' una ricerca per cui tutta la vita non può bastare. Quanto ci mise Galahad a trovare il Santo Gral, quanti anni prima di tornare al punto di partenza e chiedere al Re Pescatore "come stai?".
Credo che tutto ciò sia il blog di Gisela.
Buon viaggio, cara.

Gisy ha detto...

No, la morte è molto di più, dal momento che se si pensa alla morte lo si fa per forza da vivi, e la morte è sempre in prima persona, giacché è l'unica esperienza delle quale non possiamo nemmeno avere l'illusione di condividere.

La percezione è un fatto individuale, ci nasci o ci cresci in qualche modo diventa il diritto di percepire.

Noi siamo quello che ci hanno fatto, guardo il crepuscolo e penso che esiterà anche dopo di me, per chi lo ha amato.
Questo è bello, ma non mi toglierà mai la nostalgia per quello che non ho conosciuto e non consocerò, e per questo non potrò amare.

Io sono nell'anticamera della vita. Non della morte.

Ed io VOGLIO la solitudine, non mi pesa la solitudine, è l'umano invece - che mi distanzia dal tutto - dall'irrazionale che tanto mi fa volare anche quando mi fa male- che mi fa male - il male del reale è molto peggio - e l'umano mi fa capire quanto bisogno c'è di esserci - per la sua di disperazione incosciente. Beato lui, ma io lo vedo che si chiana ai giorni e dice sì, mentre sta aspettando solo che finiscano le ore per qualcosa di migliore che lo annoierà a morte di nuovo - pur non volendo la morte si illude che arriverà qualcosa di migliore.


@Antonio - le domande non sono dolorose, sono le risposte ad esserlo.

Anonimo ha detto...

Anche le domande, quando hai paura della risposta. O quando pensi di saperla già e hai paura della conferma.