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IN LIBRERIA

19 febbraio 2008

Oggi 19 febbraio

Ecco x chi ne abbia voglia do questa notizia...

Oggi 19 febbraio 2008 ore 17,30
Libreria Feltrinelli Via C. Battisti 17 - Modena


UN SETTEMESTRALE DI LETTERATURA COMPARATA AL NULLA


Esce il primo numero di un settemestrale di letteratura, il primo settemestrale di letteratura al mondo, ci risulta, che viene fatto da un gruppo di persone tra le quali Daniele Benati, Ugo Cornia, Paolo Nori, Paolo Morelli, Paolo Colagrande e molti altri, persone che si trovano da due anni, una volta al mese, a Reggio Emilia, in un cinema che è anche un circolo Arci, e chiudono le porte del cinema e provano a legger le cose che son saltate fuori nel corso del mese e che son state mandate al settemestrale da dei corrispondenti letterari, se così si può dire, che si trovano in tutta Italia, dalla Val d'Aosta alla Sicilia. L'accalappiacani (Edizioni Derive Approdi, Roma), che è una rivista ma si presenta come un libro, propone una
letteratura dal punto di vista del cane, che è una visuale dalla quale certe cose che di solito non vengono considerate assumono una luce e una dimensione completamente diversa e diventano cose fondamentali.
Presentano il primo numero Carlo Bordone, Nicoletta Calvagna, Paolo Colagrande, Ugo Cornia, Andrea Lucatelli, Gianfranco Mammi, Giovanni Previdi, Marco Raffaini.



Quello che segue è il pezzo che apre il numero 0.0, è stato scritto da Paolo Colagrande e si intitola Non possiamo non dirci cani. Vale in qualche modo da premessa all’intero progetto.

A Paolo Nori e a tutta la redazione dell’Accalappiacani un in bocca al lupo.

O, meglio, al cane.

Il cane non ha una visione d’insieme; e neanche il senso del vero o il senso del falso e neanche la memoria storica. Del resto lo diceva Nietzsche. Il filosofo Nietzsche racconta che una volta l’uomo ha chiesto al cane: ma perché invece di star lì inutilmente a guardarmi non mi parli della tua felicità? e il cane avrebbe voluto rispondere: perché mi io dimentico subito tutto, compreso quello che volevo dire un attimo fa. Ma si è subito dimenticato anche questa possibile risposta, e così non ha detto niente. Nietzsche si riferiva in generale agli animali, ma più di tutti al cane perché i migliori filosofi han sempre dietro un cane come strumento di lavoro per l’indagine teoretica ed anzi è grazie a quel cane che i filosofi teoretici a un certo punto han capito che era inutile insistere con la speculazione metafisica, e così è nata la cosiddetta filosofia analitica che in parole povere dice che se per strada riconosciamo un cane è inutile chiederci perché quello lì è un cane. E proprio grazie a quel cane è stata inventata la teoria della corrispondenza che è un modo per definire la verità per cui se tu chiami cane un cane, vuol dire che quello lì bisogna che sia un cane per forza, nella sua essenza ontologica, e alla fine è arrivato Umberto Eco a chiudere il ragionamento sul cane e a dire che si tratta di un tipico caso di designazione rigida.

Se il cane avesse memoria storica o visione d’insieme non sarebbe il miglior amico dell’uomo, anche se la leggenda del cane amico dell’uomo risente di cosiddetti modelli retrivi, categorie linguistico-empiriche inventate apposta per definire un legame accidentale replicato nel tempo senza ponderazione o elaborazione critica, da parte del cane; magari poi nel corso dei secoli dei secoli questa categoria retriva della cosiddetta amicizia con l’uomo è entrata nella memoria genetica del cane, ma non è vera amicizia come la intendeva ad esempio Cicerone nel de amicitia o Dante Alighieri nelle rime.

Fatta questa premessa non ci sarebbero altre cose da dire sul cane, tranne che il cane è un essere che tende all’incolore, dal punto di vista della sua essenza fisica ma soprattutto dal punto di vista intellettuale, specie quando corre, tanto è vero che per dire che uno ha indosso un vestito scolorito in dialetto si dice che ha su un vestito color cane che scappa, il che di riflesso rende la giusta misura dell’indole acritica e agnostica e anche apolitica del cane, soprattutto nel suo momento dinamico, rispetto al cosiddetto senso della vita. E quando il cane scappa, novanta su cento scappa dall’uomo, il che significa che non è poi tanto amico dell’uomo, il cane.

Fatta questa premessa non ci sarebbero altre cose da dire sul cane, tranne che il cane quando ha sete e si trova per caso vicino ad una pozzanghera beve direttamente dalla pozzanghera, o se gli scappa da cagare e si trova vicino poniamo a un ministero o a una stele patriottica o alla sede di una ausl, caga direttamente davanti al ministero o alla stele o alla ausl e se arriva un carabiniere o un corazziere o un sanitario a cacciarlo via lui scappa repentinamente lasciando visivamente quella scia dal colore tipico indefinibile che ha suggerito la nota espressione vernacolare. Questa cosa appena detta, quella del cane che beve dalla pozzanghera ma forse anche quella del cane che caga, ha ispirato la filosofia cinica, il che di riflesso rende la giusta misura di quanto il cane sia per sua natura cinico a partire almeno dal quarto secolo avanti cristo. Se non fosse cinico non sarebbe amico dell’uomo il cane.

Fatta questa premessa non ci sarebbero altre cose da dire sul cane, se non che l’idea dell’accalappiamento dei cani, trasfusa nell’ispirazione creativa letteraria, mi sembra un bel punto di partenza. Perché da che mondo è mondo la letteratura non si è mai messa seriamente dalla parte del cane, inteso il cane nel suo significato più arcano. Perché il cane, come si diceva all’inizio di questa mesta disamina, non ha visione d’insieme e neanche la memoria storica e quindi non ha rappresentazione panoramica. Da che mondo è mondo invece la letteratura vuole collocarsi in posizione panoramica, cioè al di sopra delle cose, e gli autori della letteratura mondiale si collocano il più possibile al di sopra delle cose e dicono che stando collocati al di sopra delle cose le cose stesse si percepiscono meglio, e solo con una visione panoramica, dicono sempre gli autori, si capisce quanto sia piccolo questo nostro mondo apparentemente travagliato e quanto irrisorie siano le vicende umane, comprese le epidemie e le guerre e le catastrofi ecologiche e le crisi economiche; e anche gli studiosi e gli scienziati si sono sempre collocati in posizione distante e panoramica e così sono nate le rivoluzioni copernicane. E anche i politici a un certo momento si sono collocati super partes che se oggi un onorevole dichiara di essere super partes ne arriva un altro a dichiarare che lo è di più, e poi un terzo a dichiarare che lui si colloca al centro, equidistante e al di sopra di quelle due parti di prima che credevano di essere già super partes loro, e così via. E in questa espansione incontrollata verso l’alto e verso l’epicentro cosmico, da parte degli esponenti della letteratura, della scienza, della politica e di tutti gli altri settori dell’umana esperienza, nessuno vuole rimanere indietro, cioè più in basso o in periferia, perché oltre a far la figura del bigolo perché non è super partes corre il rischio dell’emarginazione che, dice Crepet, è l’anticamera della malattia psichiatrica, e così si sperimentano le terapie riabilitative su base comunitaria dove si cerca di guardare se stessi fuori dalla lente deformante di se stessi medesimi e insomma al di sopra del proprio io e delle parti che lo compongono eccetera eccetera.

C’è rimasto solo il cane, giù in basso, nel punto periferico da dove son partiti tutti, milioni di secoli fa, e dietro di lui ogni tanto un accalappiacani che lo prende e lo porta al canile. Perché il cane le cose le vede solo dal basso talmente dal basso da raggiungere la giusta distanza panoramica al contrario dalle cose stesse, e quindi vedere dal suo piano cosiddetto calpestabile quello che invece con osservazione panoramica non vedi dall’alto. E intanto che tutti si dan da fare a collocarsi sopra le parti, con altre parti che si elevano panoramiche a formare nuove parti imparziali al di sopra delle precedenti, in una progressione infinita verso un illusorio apogeo, il cane continua empiricamente a bere l’acqua delle pozzanghere, cagare davanti ai ministeri ai militi ignoti e alle ausl e nessun carabiniere o corazziere o sanitario lo caccia più via che son tutti presi anche loro, i carabinieri e i corazzieri e i sanitari, a collocarsi in posizione panoramica verso l’illusorio apogeo, da non vederlo neanche più, il cane.

E allora ad esempio sarebbe bello poniamo che mentre dei candidati a delle elezioni politiche fanno dei discorsi equanimi o degli sfoghi dialettici panoramici, dentro gli studi televisivi neutrali con il telespettatore che si colloca anche lui in posizione critica neutrale, e il cameramen che inquadra panoramicamente i candidati con equidistanza ed equanimità e il moderatore che dichiara al pubblico che lui è super partes, sarebbe bello che capitasse lì un cane a fiutar per terra fin sotto il banco a studiar le scarpe e i calzini o rugare col muso rugiadoso nelle patte dei candidati premiers e magari gli venisse anche lo stimolo arcano estemporaneo di pisciare contro il tavolo o di leccare un cablaggio scoperto e prender la scossa da scappare via velocissimo nella scia incolore tipica del cane in fuga. Non so se questa cosa potrebbe interessare un pubblico critico o un elettorato equanime, questa cosa del cane, o influire sui sondaggi o condizionare gli indecisi, o dare una cosiddetta scossa al paese, son tutti aspetti periferici dell’universo del cane, che è agnostico acritico cinico e apolitico. Ma di sicuro sarebbe una bella ispirazione, da tradurre dentro una letteratura con la visuale al contrario, la panoramica dal basso, al di sotto delle parti, col cane che scappa e l’uomo che gli corre dietro per accalappiarlo, tutti e due acritici e apolitici senza la visione d’insieme e il senso del vero e del falso e il senso della memoria. Uguali precisi al cane che diceva Nietzsche


2 commenti:

Anonimo ha detto...

barbar

"non possiamo non dirci cani"

il cane, un gran bel simbolo.
Qui dopo secoli, ancora si usa dire: "fiol d'un can!" per apostrofare chi per perseguire i suoi affari, o altro, insomma in qualsiasi settore, magari usa metodi non regolari...
"Che gran fiol d'un can"(che gran figlio di un cane)
Nel 12/13 secolo quando a Verona regnava, Cansignorio poi Cangrande ecc. ecc. ero insomma tutto un "gran can". I quali evidentemente da padroni assoluti facevano quello che volevano.

E qualcuno tra i popolani ha inventato il detto appunto come "come el fiol d'un can" !!
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Auguri a tutti gli autori di questa nuova rivista.

Anonimo ha detto...

Sì, ma i cani aspettano i padroni, quindi vuol dire che se li ricordano, no?