
E' confortante sapere che il valore aggiunto dell'essere donna sia in quel che non si ha...
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"Se non c’è niente da ridere vuol dire che non c’è niente di tragico, e se non c’è niente di tragico che valore vuoi che abbia?" . Credo sia davvero sottovalutato un certo tipo di ironia di comicità che spesso viene vista come deteriore rispetto ad altre forme letterarie o creative.
Invece è proprio perché ciò che ci fa ridere è - quel colpire le debolezze - che sono le debolezze del genere umano. Quelle che ci possono dare la prospettiva di questo essere niente, come valore assoluto tra le distanze che accomunano gli essere umani.
Learco Pignagnoli tra una battuta e un colpo dio frusta ce lo spiaccica bene in faccia, questa pochezza di cui a volte andiamo fieri portandola come stendardo vittorioso. Del resto come ho già detto dalle proprie bassezze ognuno vede le proprie profondità.
Ho fatto una scelta di alcune opere. Quelle che fan ridere fan ridere, fan ridere che stroncano - quelle che stangano, stangano. Consiglio la lettura SOPRATTUTTO degli ultimi 3 pezzi per rendersi conto di quanta verità ci possa essere in alcune opere. e la verità senza che sia veridicità, è la verità in quanto elemento in cui tutti possiamo riconoscerci. Certo a volte sta in fondo, in fondo così in fondo che a volte si fa fatica a guardarci.
Ve le consiglio di vivo cuore
Opera n. 16
Quando eravamo giovani e andavamo fuori in gruppo, c'era sempre uno che non potevo compatire e che voleva fare un po' il poeta, come aria. E diceva sempre delle frasi tipo: Qual è il senso della vita? Noi chi siamo?
Perdìo, io lo sapevo chi ero. Ero Silvio Soncini.
Opera n. 33
C'era uno che quando parlava di sua moglie, la chiamava sempre "mia moglie" e mai col suo proprio nome. Mia moglie qui, mia moglie là. Era an
che un tipo un po' elegantino, sempre ben rasato e con la cravatta. Finché un giorno non l'abbiam visto in un'osteria che beveva del vino rosso ed era tutto spettinato con la barba lunga. Allora gli abbiam detto: Oh, come sta tua moglie? Ma lui non ha risposto niente. Guardava fisso nel suo bicchiere dove c'era appena caduta dentro una farfalla che s'era strinata contro il lampadario.
Opera n. 54
Si possono dire un sacco di cose, tutte marce.
Opera n. 136
Si va all'inferno, però uno non lo sa. Continua a chiedersi: Sono all'inferno?
Prendiamo un tipo come Hitler, era mica meglio ammazzarlo quando era ancora un ragazzo? Tutti avrebbero detto oh che crimine hanno ucciso un ragazzo di quattordici anni! Parlate pure, s'è visto che bella roba ha fatto. Ma se non ci fosse stato lui ci sarebbe stato un altro, Himmler, o Goering, dicono. Intanto cominciamo da lui, cominciamo dai responsabili diretti e individuali.
Comunque ricordatevi che se comprate un libro di Moravia non comprate un libro ma un mezzo chilo di carta. Se avete bisogno di carta va bene, avete fatto un buon acquisto, soprattutto se avete comprato il libro ai remainders o in edizione economica. Ma se lo avete comprato per leggere qualcosa allora non ci siamo. Non ci siamo neanche lontanamente. Non ci siamo proprio. Non ci siamo nel modo più assoluto. Non ci siamo per niente. Non ci siamo affatto. Se avete comprato il libro perché avevate bisogno di carta va bene, è un acquisto azzeccato che non si discute. Ma se lo avete comprato per leggere qualcosa allora non ci siamo. Non ci siamo neanche lontanamente. Non ci siamo proprio. Non ci siamo nel modo più assoluto. Non ci siamo per niente. Non ci siamo affatto.
Opera n. 205
Le grandi emozioni sono nella prima volta. La seconda volta produce emozioni riflesse, che si hanno ric
ordando, o perché spinti da un’immagine che si presenta familiare, o perché c’è qualcosa nell’aria che fa fare una involontaria associazione di pensieri. La terza volta invece è già diversa, perché non è più possibile il rapporto diretto con la prima, anche se molti pensano che ciò sia possibile e dichiarano che anche la terza volta nel suo legame emotivo con l’accaduto è simile alla prima o a quello che si prova la seconda volta. La terza volta invece non è mai così. La delusione ha già fatto il suo corso, ha appassito i vostri pensieri, e diciamo che la terza volta si presenta come un mondo in cui si vaga senza particolari apprensioni o aspettative. Un mondo in cui vige l’indifferenza. I legami con la prima volta ci sono e anche ben visibili. Alcuni li vorrebbero dipendenti direttamente dalla prima, ma non è così. Sembrano diretti, ma non lo sono, perché nella vostra mente ha operato il lavorio distruttivo della delusione provata la seconda volta. (La seconda volta è quella più importante, duratura, realistica, non modificabile). La quarta volta, se ci proverete una quarta volta, vi sentirete di casa, e ciò provocherà il malessere dell’assuefazione o dell’abitudine. E come subentra l’abitudine il discorso è chiuso. Possono ancora emergere ricordi dalla prima volta, m
a saranno come graffiti oscuri o come certi ritornelli di ballate popolari che nell’essersi tramandati da una generazione all’altra si sono modificati al punto da essere quasi incomprensibili. Ma ciononostante si rimane lì anche la quarta volta, e ci si aggrappa a quella prima volta di tanti anni prima che era stata così importante per la vita. E in fondo è questo il punto in cui si snoda il senso della vita. Quella prima volta, se fosse andata bene, avrebbe determinato una sequenza di eventi. Ma non essendo andata così, c’è il ripetersi dell’esperienza infruttuosa che conduce all’annichilimento per il tramite della ripetizione insensata. E la quinta volta è quella della noia. La prima volta appare ormai lontana e irripetibile. Qui si sente nostalgia anche della seconda, in cui si era provato un senso di delusione; si sente nostalgia della terza, dove a ben pensarci si era con un piede già fuori di questo mondo, e si sente un filo di emozione per la quarta, quella appena trascorsa e che sembra ormai così lontana. Si vorrebbe tornare alla quarta, infatti. Dire: In fondo non avevo capito che si poteva star lì, senza pensare a nient’altro. Ma si era cercato qualcos’altro, sempre più in là, nell’impossibile tentativo di tornare alla prima volta, per riviverla daccapo e vedere se poteva andare un po’ meglio.
POETRY NUMBER FOUR
Era come il modo che ti guarda il cane
Così implorante e allo stesso tempo fiero
La tua vita che andò fra speranze vane
Nel gioco della mente soprappensiero.
POETRY NUMBER FIVE
Ah, consumatrice di spettacoli
Dove sei stasera? al cine?
Sei andata a vedere il film che ha vinto il Leone di Venezia
O quello che ha vinto l'Orso di Berlino?
Era quello che parlava di uomini e donne
Se non sbaglio
Di un rapporto
Che tu chiamavi intrigante
Ammirando la complicità che hai visto fra di loro!
E la recensione di quel libro
L'hai poi letta? Parlavi sempre di quel libro,
Avrà letto la recensione, pensavo.
Ma il libro intero
L'hai mai letto? Non lo so. Io,
Conoscendoti, pensavo:
Avrà letto la recensione.
Ne parlavi sempre.
Eh, consumatrice di spettacoli?
Consumatrice di riviste
Di giornali
Di carta.
Consumatrice di spettacoli, dove sei?
A teatro? C'è un poeta che legge o uno scrittore?
Non c'è per caso un calzolaio, un idraulico,
Un imbianchino, un muratore che parla
Dove sei tu
Ad ascoltarlo?
Chi c'è?
Un poeta? Uno scrittore?
Ma tu sarai al cine.
Hai controllato sul giornale
E finalmente danno il film che ha vinto
Il Leone di Berlino.
Sarai lì a guardarlo.
Che poi tu mandi una e-mail al tuo ex uomo
Che adesso è in viaggio lontano.
Eh, consumatrice di spettacoli?
Ci ho preso?
Oppure telefoni a quell'altro
Che dicevi essere tutto tempo perso?
Il tempo l'ho perso io
Che ora mi guardo intorno
Perché il mio cane ulula
Da basso
Perché si sente solo.
Ma consumatrice di spettacoli
Ne hanno fatto di soldi con te
Tutti quei cialtroni
Che vedevi sul giornale.
Nuiorch-sul-Naviglio (Milano), 31 gennaio 2000.
L'orhestra "l'usignolo e i lettori della opere di Learco Pignagnoli . Da sx verso dx gli scrittori: Paolo Nori, Daniele Benati, Marco Raffaini, Ugo Cornia.
Ti sogno come sogno i morti cari
Lontani, ma che mi parlano al cuscino.
Ti penso come penso a loro
come ci siano, ma lasciandoli là
perché non posso averli vicini.
Solo il sogno mi riporta a quella strada,
a poterti vedere senza pensarti lontano.
O poterti pensare felice, vicino o lontano.
Eppure in quel sogno c'era la neve
il cane ti era scappato, e tu non c'eri.
Ha riconosciuto le mie impronte,
saltellava e faceva giri in tondo che ero io,
così l'ho condotto sulla via, su per la salita
che porta al tuo cortile di montagna
che era d'un un bianco rado pure quello,
ma non mi son fatta vedere.
Forse mi avresti sorriso,
e sarebbe stato tutto daccapo.
Il cane ha riconosciuto la sua casa,
ha sentito il tuo odore, e pure io.
Ho guardato verso il cortile bianco
il cane gioiva gagliardo su quella neve
e pure gli animali del bosco gioivano
che l'avevo riportato indietro.
In un coro largo mi ringraziavano
Io pure li ringraziavo che mi commuovevo
Era come mi parlassero di te.
Camminavo all'ndietro tendendomi stretta
speravo di vederti in lontananza
senza che tu potessi accorgetene,
ma forse non era quello che volevo,
o forse sì.
-Come è nata l'idea di creare una rivista di musica, cinema, teatro, arti visive, scrittura? Non ce ne sono già in abbondanza?
In effetti è veramente pieno di riviste, Roma stessa ne è zeppa. Un tipo proprio qualche giorno fa mi ha detto: “Quando i cinesi si metteranno a fare riviste nella stessa percentuale di noi italiani, la carta ci sommergerà”. Ecco, proprio per questo abbiamo pensato di dare alla luce Metromorfosi! A parte scherzi, la nostra rivista nasce come esigenza di dare forma a certe pulsioni e stimoli artistici che purtroppo spesso vengono schiacciati proprio dall’ondata mediatica e anche cartacea che ripropone sempre le solite cose. Metromorfosi fa una scelta di momenti ed epifanie artistiche da seguire, ha una sua utilità di guida, vuole essere uno stimolo per qualcosa da proseguire. Parla soprattutto di quello che deve succedere: per esempio il numero uno di febbraio riguarda tutti momenti artistici del mese che il lettore può poi decidere di vivere al di là della lettura.
La rivista ha l’ambizione di indicare una forma madre per vivere la nostra città e di conseguenza noi stessi: essere una guida ai momenti e movimenti più utili proprio per ritagliarsi i contorni di questa forma. La divisione in sezioni non è una scelta di rigidità (siamo molto interessati alle fusioni), ma più che altro è legata ad un desiderio di comunicazione diretto e semplice per il lettore. Le sezioni di musica, cinema, teatro e arte hanno una funzione più strettamente info-critica. La sezione di scrittura, invece, propone sì alcuni momenti di letteratura, ma è una vera e propria proposta di lettura.
-“Metromorfosi intende diventare un punto di riferimento per l’appassionato curioso e cercatore, letteralmente sommerso dalle molteplici proposte artistico-culturali della metropoli, spesso non filtrare ed organizzate per chi deve sceglierle e fruirne” - Questa è la tua premessa per questa rivista. Tu invece su che “filtro” ti basi per creare una guida madre in questa nuova creazione...
Decidere cosa inserire non è facile. Il formato tascabile e snello ci costringe ad operare scelte critiche nel doppio senso della parola. Ogni responsabile di sezione fa delle vere e proprie indagini sui vari impulsi che gli arrivano cercando di capire su cosa è più giusto puntare. “Giusto” anzi è una parola troppo definita per la liquidità ed elasticità di Metromorfosi. Direi che l’aggettivo appropriato è “metromorfico”: che vuole dire anche essere in grado di tornare indietro oppure rimbalzare di colpo in avanti, in modo fluido e senza controllo.
-Chi sono i collaboratori alla rivista? E' anche aperta ad un'eventuale pubblico?
Metromorfosi ha come vertebre proprio dei curiosi: innanzitutto i responsabili delle varie sezioni: Donato Zoppo per la musica, Maria Cera (cinema), Rosaria Abate (arte) ed io per la scrittura. Cercheremo sempre di scovare le proposte più interessanti e stimolanti, perché prima di tutto siamo dei cercatori noi stessi.
Info-critica per me significa questo: trovare, sentire, capire, scegliere e comunicare.
Lo stesso nome Metromorfosi ammicca all’idea di trasformazione e come tutte le cose vitali è in piena evoluzione, aperta a qualsiasi contributo interessante.
-Vedo che l'idea è di centrare soprattutto l'area di Roma e dintorni, possibilità di allargarla...?
Metromorfosi nasce come rivista di “Roma e dintorni”, ma certamente mi piacerebbe poter creare in futuro gemelle in altre città. Gemelle, ma non cloni, dato che ogni realtà ha diverse sfaccettature. Roma, per esempio, è una città labirintica nelle sue proposte. Qui fare una scelta è davvero difficile e la rivista vuole proprio essere una sorta di filo d’Arianna per non perdersi.
-Quale cadenza avete intenzione di dare a questa rivista?
La rivista è mensile, perché prima di tutto l’attenzione è all’informazione e all’utilità per vivere la città: il numero di febbraio è già reperibile da fine gennaio in un centinaio di punti distributivi. La lettura è solo un’introduzione al momento artistico. Noi, insomma, diamo un segnale, che poi eventualmente va seguito e vissuto. Anche per questo Metromorfosi può essere l’introduzione a letture più specialistiche.
-Qualcosa che vorresti dire a tutti...
La cosa che più ci interessa è il rapporto con il lettore per poter far crescere Metromorfosi, che in effetti ha preso forma ascoltando gli stimoli e anche le critiche durante la sua gestazione: quindi vi invito a scriverci ad info@metromorfosi per dirci qualcosa. Prima di tutto siamo qui per ascoltare.
http://www.metromorfosi.com/