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"Piero Ciampi una vita a precipizio" ed. Coniglio agosto 2005 - raccolta di interviste agli amici dell'autore morto nel 1980 causa un cancro ai polmoni quando avrebbe voluto fosse cirrosi
"La ragazza definitiva" - ed. Castelvecchi aprile 2007 - romanzo sul sesso l'ironia la morte.
IN LIBRERIA "Vorrei che fosse notte" Elliot edizioni
IN LIBRERIA "Piero Ciampi Maledetto poeta" Arcana edizioni 2012
partiamo da questa condierazione abbastanza banale e comunque.
Questo riguarda specie il genere femminile, ma anche no dato che - nei lavori "la bella presenza" è sempre più richiesta in ambo i sessi. Poi "la bella presenza" che è di fatto la prima impressione che si ha su un idividuo - uno che rappresenti bene la propria immagine e di conseguenza anche l'immagine dell'azienda o del posto di lavoro in cui verrà \è inserito.
Vita dura per i brutti, per le brutte sembra davvero orrenda, perché se sei donna e per di più brutta, non ti perdonano nulla, né le donne, né gli uonini, la società di fatto. A meno che non si abbiano aòtre prerogative talmente forti da camuffare questo stato, ma queste prerogative in questa società sono molto più vicine al potere nelle sue forme che non alla sensibilità, l'intelligenza e le sue forme.
Se sei bella, mettiamo caso, basta anche carina, le prime considerazioni che cadono sul tuo conto è immediatamente sulla considerazione personale, anche in ambiti in cui non dovrebbe essere tirata in ballo, qiomdi in maniera istintiva entra da subito esiste un occhio di riguardo differente da chi non è stato premiato dalla natura di questa caratteristica.
Per chi la possiede la bellezza, così come l'intelligenza, la simpatia, la creatività e tante altre componenti diciamo dell'individuo (e ho citate solo di positive, ma vale ovviamente anche l'inverso) - è una caratteristica che può essere vista e vissuta tanto quanto un talento. E come tutti quelli che possiedono in maniera innata - grandi talenti - può adagiarsi su questa prerogativa con sicurezza, così come molti musicisti di grande talento, o pittori, o scrittori che per estrema sicurezza, si lasciano andare al compiacimento di se stessi che il più delle volte è dannoso - tipo atteggiamento di chi vive con la convinzione e l'aucompiacimento di possedere una cosa (che ineffetti c'è, esiste) magari raggiungendo all afine di tutti ci conti mete meno esaltanti di chi non le possiede meno, ma proprio per questo non vi si adagia orizzontalmente e la verticalità imposta da quel due terzi lo spinge al miglioramento. la bellezza a differenza di altri dote innate però va trattata anche per questo motivo con un occhio di riguardo in più, dato che effetivamente il tempo complice non è mai, ma non lo è in fin dei conti nemmeno per altri tipo di talenti innati.
Però tant'è che di bellezza volevo parlare, c'è chi dice come in prima affermazione che è un vantaggio, e in primis è davvero difficile affermare il vantaggio, dato che la biologia stessa porta vantaggi alle specie più robuste, più sane e più belle, ma inserito in società, in una società quindi strutturata anche da menti pensanti è penoso pensare che ci sia sempre questa barriera da scavalcare pera avere un giudizio meritocratico, una selezione meritocratica.
Se il vantaggio deve essere sempre suggestionato da un fatto sessista, rompe un po' i coglioni, perchè se un uomo anche se non è uno splendore viene valutato meritocramente nel suo lavoro, o quanto meno in maniera on condizionata nei suoi rapporti, idem in quelli lavorativi - o almeno molto difficilmente viene avvantagiato perché chi lo prende in considerazione mentalmente pensa ad un vantaggio personale, o anche solo ad un sentimento di favore.
Sì perché non sto dicendo che chi ti sceglie nei lavori, qualunque essi siano lo faccia brutalmente per provarci, ma dal momento che una è una donan bella o carina, scatta probabilmente anche psciologicamente un sentimento di protezione nei confronti della bellezza, di accondiscendenza, perché poi di fatto l'essere umano vuole essere circondato da cose belle, che poi in parte ol bello sia condizionato dal sociale o dall'innata simmetria e proporzione melodica di fatto nessuno vuole attorno ciò che ritiene essere brutto, e quindi cosa sei dentro o meno, sono giudicati sempre e solo in un forse secondo momento.
Ma parlando di sessimo la forza che rappresenta una bella donna, non è assolutamente uguale a quella di un bell'uomo, dto che la donna ha reale peso sociale se è bella, l'uomo se è realizzato - e questo genere di consideraioni purtroppo, ahimé le ho sentite fare anche da uomini di cultura, che ritengo delle belle menti. Se ne esce quindi?
è lì, il caso della natura che ti ha voluto cogno o anatroccolo - lì che le donne vengono ferite o riverite; e questo di fatto è un vantaggio davvero? sapere che comunque la tua parola deve fare una fatica boia prima di scavalcare il tuo aspetto fisico ? O che quello che fai un ambito differente da quello estetico deve sempre essere prima smarcherato dai migialia di pregiudizi che gli si affibbiano sopra?
Per cui se sei carina e ti occupi anche di qualcos'altro che esce dagli ambiti usuali, è molto difficile essere preso seriamente in considerazione, questo è un vantaggio? secondo me NO.
Ecco io ho sempre in mente questa cosa qui, che nel bene o nel male con le donne non esista mai un sistema veramente meritocratico. così se sei in gamba e fai le cose dicono le voci
"eh grazie, hai sei risucita a fare qursto e quello perché sei bella, non perché hai dei meriti (quando ocvciamente non dicnon di peggio, che di solito dicono di peggio)"
-se non riesci a farle - ti danno imemdiatamente della cretina, perché una bella che cervello vuoi che abbia
-se sei brutta - non hai alcuna valore assoggettato. Quindi anche quello che fai non è che importi molto. Ci sarà qualcuno più bello di te, che si vende meglio, che saprà prendere il tuo anonimato e dargli una faccia.
Se vuoi toccare sulla fronte il tempo che passa volando in un marzo di polvere e di fuoco e come il nonno di oggi sia stato il ragazzo di ieri, se vuoi ascolteranno solo, per gioco il passo di mille pensieri chiedi chi erano i Beatles
Se vuoi sentire sul braccio il giorno che corre lontano e come una corda di canapa è stata tirata,o come la nebbia è inchiodata alla manofra giorni sempre più brevi se vuoi toccare col dito il cuore delle ultime nevi chiedi chi erano i Beatles
Fino qui occhei c'è un po' di ossessione del tempo che passa, ma quella ci può stare, ne siamo un po' tutti vittime. E di generazione in generazione va così.
Chiedilo a una ragazza di quindici anni di età - chiedi chi erano i Beatles e lei ti risponderà la ragazza bellina col suo naso garbato, gli occhiali e con la vocina chi erano mai questi Beatles lei ti risponderà!
I Beatles non li conosco e neanche il mondo conosco Sì sì conosco Hiroshima, ma del resto ne so molto poco.Ha detto mio padre: "L'Europa bruciava nel fuoco."Dobbiamo ancora imparare, siamo nati ieri, siamo nati ieri.
Quindi la ragazzina bellina a 15 anni ha già un sacco di presunzione, non sa in effetti chi erano i Beatles, ma ha una consapevolezza della madonna riguardo la proprio ignoranza, poi va avanti e fa la falsa modesta "Sì sì conosco Hiroshima, ma del resto ne so molto poco" - quando con ogni probabilità conosce i Beatles, ma Hiroshima no la vedo improbabile, o forse ha visto "The day After" e gli è rimasto molto impresso, e riconosce di essere nata ieri, difatti sempre con quella finta modestia, che però vuole fare bella figura con gli interlocutori amanti dei Beatles dice per due volte, noi siamo nati ieri, siamo nati ieri rivolgendosi a tutta la sua generazione, perché tutta la sua generazione è di fatto una generazione di ignoranti che ignorano sicuramente come lei chi erano i Beatles, e anche loro, quelli della sua generazione dovrebbero farsi avanti e avere sete di sapere chi erano i Beatles a suo parere, perché essendo nati ieri sono dei mocciosi che non si fanno domande.
Dopo le ferie d'agosto, non mi ricordo più il mare. Non ricordo la musica, fatico a spiegarmi le cose. Per restare tranquilla,scatto a mia nonna le ultime pose chi erano mai questi Beatles
da questa frase si capisce chiaramente che il sole d'agosto ha dato alla testa alla ragazzina bellina, tanto che "non mi ricordo più il mare" che dopo essersi rincoglionita dal sole comincia ad avere nostalgia per la nonna, ed essere ossessionata da chi erano quei Beatles che lei non sa mica, ma gli hanno messo curiosità ormai.
Voi che li avete girati nei dischi e gridati voi che li avete aspettati ascoltati bruciati e poi scordativi dovete insegnarci con tutte le cose non solo a parole chi erano mai questi Beatles chi erano mai questi Beatles
Insomma la ragazzina comincia ad avere una sorta di transfert con gli interlocutori amanti dei Beatles, tanto che la nostalgia per questo gruppo che lei manco sa chi sono, si fa sempre più soffocante, in poche parole sembra che lei avrebbe voluto vivere la giovinezza negli anni '60, e ora non lascia tregua vuole sapere TUTTO di loro di quello che hanno fatto ecc ecc, non solo dei Beatles ben inteso anche degli appassionati.
La pioggia cade presto asciugata dal sole. Un fiume scorre su un divano di pelle. Ma chi erano mai questi Beatles Le auto hanno brusche fermate le radio private mettono in onda la nebbia e le vecchie paure. Chi erano mai questi Beatles
In vena poetica attanagliata dalla nostalgia di non aver vissuto quel tempo, butta lì una mediocre frase (che però attenzione a 15 anni è un buon inizio) come metafora del tempo che scorre "La pioggia cade presto asciugata dal sole". "l'acqua che scorre sul divano di pelle" che quindi non assorbe l'acqua e passa come niente fosse, fa capire il cinismo del tempo e del mondo, e quindi ora che la ragazzina anche lei che grazie a chi gli ha messo la pulce nell'orecchio ha sempre più nostalgia e voglia di conoscere, capisce a 15 anni che è solo merda di fatto quella che passano le radio private, che fa entrare con la metafora di nebbia come che offusca le menti tipo.
Di notte,sogno città che non hanno mai fine. Sento tante voci cantare laggiù gente risponde. Nuoto fra le onde di sole,cammino nel cielo del mare. Chi erano mai questi BeatlesChi erano mai questi Beatles
Talmente è grande la sua ossessione ora, comincia sentire le voci, che però sono quelle degli altri, probabilmente quelle dei suoi interlocutori amanti dei Beatles proiettati allora negli anni '60, loro sì che l'hanno vissuto il mondo ele resto, e quindi chiam, chiama, che li chiami da un'altra epoca, ma a forza di sentire le voci, le voci si fanno sentire, ma manco si degna di risponderle.
A questo punto. per potersi rilassare e liberare dall'ossessione va farsi quattro passio, ma si capisce, non è una spiaggia quella che percorre, bensì un cielo cammino nel cielo del mare, usando a suo parere un magnifico ossimoro - ma ormai quella frase le ha devastato la mente, e non basterà una semplice camminata a calmare la smania "ma chi erano mai questi Beatles?"
No vabbè è così una piccola considerazione, che mi divertiva
Non sono niente. Non sarò mai niente. Non posso voler essere niente. A parte questo, ho dentro me tutti i sogni del mondo.
Finestre della mia stanza, della stanza di uno dei milioni al mondo che nessuno sa chi è (e se sapessero chi è, cosa saprebbero?), vi affacciate sul mistero di una via costantemente attraversata da gente, su una via inaccessibile a tutti i pensieri, reale, impossibilmente reale, certa, sconosciutamente certa, con il mistero delle cose sotto le pietre e gli esseri, con la morte che porta umidità nelle pareti e capelli bianchi negli uomini, con il Destino che guida la carretta di tutto sulla via del nulla.
Oggi sono sconfitto, come se conoscessi la verità. Oggi sono lucido, come se stessi per morire, e non avessi altra fratellanza con le cose che un commiato, e questa casa e questo lato della via diventassero la fila di vagoni di un treno, e una partenza fischiata da dentro la mia testa, e una scossa dei miei nervi e uno scricchiolio di ossa nell’avvio.
Oggi sono perplesso come chi ha pensato, trovato e dimenticato. Oggi sono diviso tra la lealtà che devo alla Tabaccheria dall’altra parte della strada, come cosa reale dal di fuori, e alla sensazione che tutto è sogno, come cosa reale dal di dentro.
Sono fallito in tutto. Ma visto che non avevo nessun proposito, forse tutto è stato niente. Dall’insegnamento che mi hanno impartito, sono sceso attraverso la finestra sul retro della casa. Sono andato in campagna pieno di grandi propositi. Ma là ho incontrato solo erba e alberi, e quando c’era, la gente era uguale all’altra. Mi scosto dalla finestra, siedo su una poltrona. A che devo pensare? Che so di cosa sarò, io che non so cosa sono? Essere quel che penso? Ma penso di essere tante cose! E in tanti pensano di essere la stessa cosa che non possono essercene così tanti! Genio? In questo momento centomila cervelli si concepiscono in sogno geni come me, e la storia non ne rivelerà, chissà?, nemmeno uno, non ci sarà altro che letame di tante conquiste future. No, non credo in me. In tutti i manicomi ci sono pazzi deliranti con tante certezze! lo, che non possiedo nessuna certezza, sono più sano o meno sano? No, neppure in me… in quante mansarde e non-mansarde del mondo non staranno sognando a quest’ora geni-per-se-stessi? Quante aspirazioni alte, nobili e lucide -, sì, veramente alte, nobili e lucide -, e forse realizzabili, non verranno mai alla luce del sole reale nè troveranno ascolto?
Il mondo è di chi nasce per conquistarlo e non di chi sogna di poterlo conquistare, anche se ha ragione.
Ho sognato di più di quanto Napoleone abbia realizzato. Ho stretto al petto ipotetico più umanità di Cristo. Ho creato in segreto filosofie che nessun Kant ha scritto. Ma sono, e forse sarò sempre, quello della mansarda, anche se non ci abito; sarò sempre quello che non è nato per questo; sarò sempre soltanto quello che possedeva delle qualità; sarò sempre quello che ha atteso che gli aprissero la porta davanti a una parete senza porta, e ha cantato la canzone dell’Infinito in un pollaio, e sentito la voce di Dio in un pozzo chiuso. Credere in me? No, né in niente.
Che la Natura sparga sulla mia testa scottante il suo sole, la sua pioggia, il vento che trova i miei capelli, e il resto venga pure se verrà o dovrà venire, altrimenti non venga. Schiavi cardiaci delle stelle, abbiamo conquistato tutto il mondo prima di alzarci dal letto; ma ci siamo svegliati ed esso è opaco, ci siamo alzati ed esso è estraneo, siamo usciti di casa ed esso è la terra intera, più il sistema solare, la Via Lattea e l’Indefinito.
(Mangia cioccolatini, piccina; mangia cioccolatini! Guarda che non c’è al mondo altra metafisica che i cioccolatini. Guarda che tutte le religioni non insegnano altro che la pasticceria. Mangia, bambina sporca, mangia! Potessi io mangiare cioccolatini con la stessa concretezza con cui li mangi tu! Ma io penso e, togliendo la carta argentata, che poi è di stagnola, butto tutto per terra, come ho buttato la vita.) Ma almeno rimane dell’amarezza di ciò che mai sarà la calligrafia rapida di questi versi, portico crollato sull’Impossibile. Ma almeno consacro a me stesso un disprezzo privo di lacrime, nobile almeno nell’ampio gesto con cui scaravento i panni sporchi che io sono, senza lista, nel corso delle cose, e resto in casa senza camicia.
(Tu, che consoli, che non esisti e perciò consoli, Dea greca, concepita come una statua viva, o patrizia romana, impossibilmente nobile e nefasta, o principessa di trovatori, gentilissima e colorita, o marchesa del Settecento, scollata e distante, o celebre cocotte dell’epoca dei nostri padri, o non so che di moderno - non capisco bene cosa -, tutto questo, qualsiasi cosa tu sia, se può ispirare che ispiri! Il mio cuore è un secchio svuotato. Come quelli che invocano spiriti invoco me stesso ma non trovo niente.
Mi avvicino alla finestra e vedo la strada con assoluta nitidezza. Vedo le botteghe, vedo i marciapiedi, vedo le vetture passare, vedo gli esseri vivi vestiti che s’incrociano, vedo i cani che anche loro esistono, e tutto questo mi pesa come una condanna all’esilio, e tutto questo è straniero, come ogni cosa.) Ho vissuto, studiato, amato, e persino creduto, e oggi non c’è mendicante che io non invidi solo perchè non è me. Di ciascuno guardo i cenci e le piaghe e la menzogna, e penso: magari non ho mai vissuto, nè studiato, nè amato, nè creduto (perchè si può creare la realtà di tutto questo senza fare nulla di tutto questo); magari sei solo esistito, come una lucertola cui tagliano la coda e che è irrequietamente coda al di qua della lucertola.
Ho fatto di me ciò che non ho saputo, e ciò che avrei potuto fare di me non l’ho fatto. Il domino che ho indossato era sbagliato. Mi hanno riconosciuto subito per quello che non ero e non ho smentito, e mi sono perso. Quando ho voluto togliermi la maschera, era incollata alla faccia. Quando l’ho tolta e mi sono guardato allo specchio, ero già invecchiato. Ero ubriaco, non sapevo più indossare il domino che non mi ero tolto. Ho gettato la maschera e dormito nel guardaroba come un cane tollerato dall’amministrazione perchè inoffensivo e scrivo questa storia per dimostrare di essere sublime. Essenza musicale dei miei versi inutili, magari potessi incontrarmi come una cosa fatta da me, e non stessi sempre di fronte alla Tabaccheria qui di fronte, calpestando la coscienza di esistere, come un tappeto in cui un ubriaco inciampa o uno stoino rubato dagli zingari che non valeva niente.
Ma il padrone della Tabaccheria s’è affacciato sulla porta e vi è rimasto. Lo guardo con il fastidio della testa piegata male e con il disagio dell’anima che sta intuendo. Lui morirà ed io morirò. Lui lascerà l’insegna, io lascerò dei versi. A un certo momento morirà anche l’insegna, e anche i versi. Dopo un po’ morirà la strada dove fu stata l’insegna, E la lingua in cui furono scritti i versi. Morirà poi il pianeta che gira in cui tutto ciò accadde. In altri satelliti di altri sistemi qualcosa di simile alla gente continuerà a fare cose simili a versi vivendo sotto cose simili a insegne, sempre una cosa di fronte all’altra, sempre una cosa inutile quanto l’altra, sempre l’impossibile, stupido come il reale, sempre il mistero del profondo certo come il sonno del mistero della superficie, sempre questo o sempre qualche altra cosa o nè una cosa nè l’altra.
Ma un uomo è entrato nella Tabaccheria (per comprare tabacco?), e la realtà plausibile improvvisamente mi crolla addosso. Mi rialzo energico, convinto, umano, con l’intenzione di scrivere questi versi per dire il contrario. Accendo una sigaretta mentre penso di scriverli e assaporo nella sigaretta la liberazione da ogni pensiero. Seguo il fumo come se avesse una propria rotta, e mi godo, in un momento sensitivo e competente la liberazione da tutte le speculazioni e la consapevolezza che la metafisica è una conseguenza dell’essere indisposti.
Poi mi allungo sulla sedia e continuo a fumare. Finche il Destino me lo concederà, continuerò a fumare. (Se sposassi la figlia della mia lavandaia magari sarei felice.) Considerato questo, mi alzo dalla sedia. Vado alla finestra. L’uomo è uscito dalla Tabaccheria (infilando il resto nella tasca dei pantaloni?). Ah, lo conosco: è Esteves senza metafisica. (Il padrone della Tabaccheria s’è affacciato all’entrata.) Come per un istinto divino Esteves s’è voltato e mi ha visto. Mi ha salutato con un cenno, gli ho gridato Arrivederci Esteves!, e l’universo mi si è ricostruito senza ideale né speranza, e il padrone della Tabaccheria ha sorriso.
C'è una cosa quando guardo i video musicali su you tube che proprio non sopporto e nemmeno capisco. Giudicare i cantanti o più frequentemente le cantanti per il loro spetto fisico e o la loro vita privata. Spesso capita che cantanti che sono state belle donne, e a mio parere lo sono tutt'ora Nada per esempio, vengano ricoperte di insulti perché ora non rappresentano più un ideale di donna bella. Questo a maggior ragione se allora erano un tempo belle donne come Claudia Mori ad esempio, Nada già citata, ma poi potrei parlare per altre ancora, e senza parlare dei commenti sulla vita privata, magari se Tiziano Ferro sia o meno gay, dove questo sembrerebbe discriminare un autore o farlo diventare un icona.
Cioè, una artista fa arte, cosa importa se ora non è più esteticamente come allora, cosa importa le sue preferenze quotidiane, ciò che si deve giudicare dell'artista è la sua arte, che spesso chiaramente non è nettamente scindibile dalla propria umanità, ma sicuramente lo è dalla propria espressione estetica. Perché deve esserci sempre questa esigenza di mettere un giudizio che poco ha a che fare con l'arte dell'artista prima della sua arte? perché una donna se passa il tempo deve essere condannata per questo a insulsi e denigrazioni, dove sembra davvero contare poco il suo percorso artistico? .
Questo è la prova che oggi ci sia sempre più superficialità nel giudizio, un tempo si portava rispetto agli astisti e si rimaneva critici rispetto il loro percorso, dove si poteva essere più o meno d'accorso sulle evoluzioni o involuzioni a riguardo. Certamente non esisteva internet e mezzi in cui chiunque può intervenire, insultare, adulare, eleggere o massacrare chi vuole a propria indiscrezione.
Dico che mi pare una cosa piuttosto idiota, ma forse alla fine quello che importa è sentirsi migliori sminuendo gli altri, cosa importa come.
Una grande passione per la collezione di cartoline vintage, per l'occasione ho pensato di postarne qualcuna tema natalizio...quella in bianco e nero dove Babbo Natale pare l'uomo nero più che un dispensatore di doni, risale al 1800, una delle prime rappresentazioni del famoso benefattore dei bambini...
Dissi una volta ad uno spaventapasseri: "Devi essere stanco di startene da solo in questo campo". Disse: "La gioia di spaventare è profonda e continua e io non ne sono mai stanco". Dopo averci pensato un minuto dissi: "è vero conosco anch'io quella gioia". Disse - "solo chi è impagliato la consce". Allora me ne andai, non sapendo se mi avesse elogiato o sminuito. Trascorse un anno e nel frattempo lo spaventapasseri era diventato un filosofo. Quando gli ripassai vicino vidi due corvi che si costruivano il nido sotto il suo cappello.
"sì da fuoco sopo essere stato scartato dal Grande Fratello" - dandosi fuoco davanti gli studi di Cinecittà. il tizio si era già fatto tatuare il logo di mediaset sul braccio. - I soccorsi tempestivi lo hanno comunque salvato e non riporta gravi danni"
Io dico una petizione contro quelli che sono intervenuti, il cervello ce l'aveva già bruciato, potevano anche risparmiare sull'acqua.
Ma dove cazzo sta andando questo mondo, magari fossero troie.
Il mio desiderio è fuggire. Fuggire da ciò che conosco, fuggire da ciò che è mio, fuggire da ciò che amo. Desidero partire: non verso le Indie impossibili o verso le grandi isole a Sud di tutto, ma verso un luogo qualsiasi, villaggio o eremo, che possegga la virtù di non essere questo luogo. Non voglio più vedere questi volti, queste abitudini e questi giorni. Voglio riposarmi, da estraneo, dalla mia organica simulazione. Voglio sentire il sonno che arriva come vita e non come riposo. Una capanna in riva al mare, perfino una grotta sul fianco rugoso di una montagna, mi può dare questo. Purtroppo soltanto la mia volontà non me lo può dare.
La schiavitù è la legge della vita, e non c’è altra legge perché questa deve compiersi, senza possibile rivolta o rifugio da trovare. Certuni nascono schiavi, altri diventano schiavi, ad altri ancora la schiavitù viene imposta. L’amore codardo che tutti noi proviamo per la libertà (libertà che, se la conoscessimo, troveremmo strana perché nuova e la rifiuteremmo) è il vero indizio del peso della nostra schiavitù. Io stesso, che ho appena detto che desidererei una capanna o una grotta per essere libero dalla noia di tutto, che poi è la noia che provo per me, oserei forse andare in quella capanna o in quella grotta consapevole che, dato che la noia mi appartiene, essa sarebbe sempre presente? Io stesso, che soffoco dove sono e perché sono, dove mai respirerei meglio se la malattia è nei miei polmoni e non nelle cose che mi circondano? Io stesso, che ardentemente sogno il sole puro e i campi liberi, il mare visibile e l’orizzonte largo, chissà se mi adatterei al letto o al cibo o a non dover scendere otto rampe di scale per arrivare alla strada o a non entrare nella tabaccheria dell’angolo o a non scambiar il buongiorno con l’ozioso barbiere.
Quello che ci circonda diventa parte di noi stessi, si infiltra in noi nella sensazione della carne e della vita e, quale bava del grande Ragno, ci unisce in modo sottile a ciò che è prossimo, imprigionandoci in un letto lieve di morte lenta dove dondoliamo al vento. Tutto è noi e noi siamo tutto; ma a che serve questo, se tutto è niente? Un raggio di sole, una nuvola il cui passaggio è rivelato da un’improvvisa ombra, una brezza che si leva, il silenzio che segue quando essa cessa, qualche volto, qualche voce, il riso casuale fra le voci che parlano: e poi la notte nella quale emergono senza senso i geroglifici infranti delle stelle.
"oggi ancora una bellissima giornata di sole splenderà su tutta l'Italia"- cioè c'è solo della gente che si sente male e portata via in ambulanza all'ospedale e continuano con dire che bello quanto dura l'estate. Io non capisco eh. Io voglio l'autunno !!!