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IN LIBRERIA

29 ottobre 2008

Quel che si deve.


Oggi mi verrebbe da piangere, ma è sempre troppo poco anche piangere.
Un mio amico mi chiede perché non si può stare mai bene o quasi - io rispondo che forse è per non stare peggio; oggi è così facile patire, almeno se si ha un briciolo di sensitività, non basta molto per capire questo sfacelo che dalla società si infiltra nell'umano.

C'è sempre una catasta di cose da fare, inutili per lo più, ma che si devono fare. Inutili io penso per se stessi, ma necessarie per la sussitenza pratica, ma che abbatte la crescita umana - che ogni giorno è soffocata da quelle cose che si devono, che si devono e che si devono fare, mai un po' di pace.
Non si è nel "si fa quel che si può, ma in quel che si deve". Siamo così piegati in questo che non ce ne accorgiamo neppure, e la patiamo come una cosa naturale, come se il dovere fosse un'eterna influenza che è piombata dal cielo a tartassarci le giornate fino la morte.

Si arriva all'anestesia dei sensi, a non accorgersene del bello e del brutto, e quelle volte che ce ne accorge per davvero è un pianto che non basta, ma qualcosa che dilaga dentro e ti fa sentire irrimediabilmente perduto. Se per quell'attimo, e sempre se per quell'attimo te ne accorgi. E' passato così tanto da quando l'umano ha messo piede qui, eppure un cielo una foglia una strada, un parola cara sarebbe ancora in grado di darci qualcosa se solo si riuscisse a fare un po' di silenzio e sentire che queste cose sono già dentro di noi, bisognerebbe solo stare ad ascoltarle, e trovare allora sì quel punto di riconciliazione che al centro di noi, senza pensare che saimo noi, quell'incotro tra il fuori e il dentro - l'abbracciano che ci dà quel senso di pienezza tipica della gioia.
Dopo i sonni sono sereni e i risvegli con la pace nel cuore.

Ma a quanti e quando oggi si trova il tempo? La stanchezza fiacca l'anima, offusca il vero, o per chi combatte è un forte male. Sarebbe bello per certe cose, per tante cose poter tornare indietro, ma credo sarà sempre paggio, più lontananza...meno tempo per capire per capirsi, per amare nel senso totale del termine, e quindi si finisce ad essere dei gran creduloni costruiti nella cultura, ma non nel sentire, ci si copre di ignoranza, ma di quell'ignoranza animica - e purtroppo non c'è nulla che convince meglio le persone di scarsa intelligenza e emotività di quello che non capiscono. Così ci beviamo, si bevono (a seconda, perché nessuno ne è immune) quel che passa al convento, e con i grandi soldi che circolano ai piani alti, ci fanno stringere la cinghia dell'esistere. Come vorrei che queste parole venissero percepite!
Anche da me, perché solo in alcuni momenti pure io me ne rendo conto. E poi invece tutti in fila per sei senza alcun resto.

Si arriva alla conclusione che pure la vita alla fine serve per passare il tempo, e visto che bisogna farselo passare, finché non si ha una scusa decede per farsi andare - almeno per se stessi e per gli altri, beh si cerca di rimediare alla noia spesso con cose che no te ne frega neanche più di tanto.
Oggi mi pare tanto così, che ci si convince di cose che alla fin fine, ne potremo fare benissimo a meno. E perdiamo quello che di più prezioso dovrebbe preservare un essere umano, il tempo per sentirsi dentro, per dedicarsi veramente a quelle cose che più si ama, quello credo sia l'unico motivo per cui valga la pena respirare stando al mondo.
Pure i luoghi di un tempo, particolar modo i paesetti sembrano soli, non solo le persone Mauro Corona che a differenza di altri che portano il suo stesso cognome è un altro che stimo tantissimo, andatevelo vedere su you tube e leggetelo, quando dice che: le case i paesi sono come la gente, se non li si accarezza muoiono.
E oggi siamo così tirchi in carezze.

6 commenti:

SerialLicker ha detto...

sul tempo, sul correre verso nessun dove, hai ragione...
ed è bello ogni tanto sentirselo dire

una carezza virtuale

Anonimo ha detto...

Non sono certo che il "dovere" sia un'invenzione umana.
Guardando il regno animale e, in special modo alle creature gregarie, viene da chiedersi perchè, alcune di esse, si assoggettino alle regole del proprio branco anche quando starebbero meglio conducendo una vita al di fuori di esse.
La risposta più semplice e anche la più logica, è quella della sopravvivenza che, in definitiva, è il benessere della collettività.
Persino in una società "individualista" come la nostra, c'è un'idea ancestrale che, seguendo le regole del "gruppo", si stia meglio.
Il senso di appartenenza è qualcosa di inconsciamente protettivo. La routine, se pur limitante per le nostre aspirazioni, protegge dalla paura dell'ignoto, e questo vale per il posto di lavoro come per i rapporti interpersonali.
La tendenza dell'essere umano è quella di auto ingabbiarsi per poter evitare di lottare per ottenere ciò che realmente vuole.
Si tratta di capire quanto, la nostra evoluzione biologica e culturale, ci consenta di rompere questi schemi e pensare la nostra vita, la nostra società, in maniera assai più libera e appagante.

Anonimo ha detto...

Dalla catena di montaggio non si sfugge mai diceva CB, si fa sentire sempre più opprimente, soprattutto nell'entusiasmo, e più avremmo voglia di fare e di esistere e più sentiamo il peso di queste catene, "l'insensato scalpitar fuor della bara"...

Gisy ha detto...

@Serial - Sentirselo dire...io penso che bisognerebbe sentirlo e basta, sarebbe il primo passo e quello fondamentale per tirarsi via da tutto questa polvere, e non è un chiedere.

@ Superion - stare in gruppo sì, è umano, una necessità istintiva, ma qui si parla d'altro, ovvero delle sovrastrutture che dall'umano partono e non sono più riconducibili all'essenza dell'umano ma a qualcosa che lo schiaccia e lo deteriora, non si parla solo di regole sociali dove il senso di colpa individuale ad esempio è una tutela per la stessa società, oggi si scambia la libertà con quello che è l'esatto opposto - è questo il dramma.
Per avere la libertà si fanno dei girotondi e dei giri della morte, che non son mica tanto salutari.

@Alex - assolutamente sì.

Anonimo ha detto...

Cara Gisy, pochi giorni fa ho visto "Centochiodi", il film di Olmi. Si intona (se così si può dire di un film...) perfettamente a queste tue riflessioni, che sono spesso anche le mie, ma con una lettura anche aperta alla possibilità di una positività.
A me questo film mi ha fatto pensare, mi ha messo anche un po' in crisi. Sinceramente te lo consiglio. E, per quanto virtuale, ti mando un abbraccio forte. Chissà se almeno le nostre solitudini e le nostre tristezze si toccano, a nostra insaputa, nel mondo delle idee in cui le pensiamo...

Gisy ha detto...

@ Ilaria, è vario tempo che dico sempre lo devo vedere, lo devo vedere quel film poi non l'ho mai fatto. Ma è in lista.

Essere speranzosi, beh uno lo deve essere nell'ottica individuale, in questo ci credo anch'io; "il mondo non cambierà", e tanto son sicura che anche cambiasse, non saremo mai contenti.
Ciò che sembra prendere da una parte toglie dall'altra. E' sempre stato così.
Solo che oggi le bilance del dare avere hanno oscillazioni che reggono molto poco bene i meccanismi della stessa bilancia.,

Rinunciare serenamente a quello che ci ha circondato, non che ci circonda, ma sappiamo che non ci è possibile.
Purtroppo.