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IN LIBRERIA

20 maggio 2008

Com'è romantica la provincia

In questi giorni sto cercando di andare avanti con la revisione del libro, e vi garantisco che non ne posso più Uno dovrebbe essere felice forse a lavorare a qualcosa che sarà, beh io davvero adesso non ne posso più. Chi mi viene a dire che scrivere non è un lavoro lo strangolo. Dormo 12 ore al giorno perché appena ho un momento libero crollo dallo stress, me lo porto ovunque vado sto benedetto libro, è un ossessione. Perché non ne ho già abbastanza.

Scrivere, non deve nascere come lavoro forse, ma poi lo è eccome se lo è. Buttare giù seguire l'istinto da scrivere, quello sì mi dà l'adrenalina, è un po' come scopare che non ci stai dietro, che ne vuoi ancora di pagine bianche da riempire, prima ancora di esaurire le idee che hai in testa e stai mettendo giù.
Ma poi la fase rimetti a posto. Ecco io la odio. Ora sono in questa fase, dove leggere capoverso per capoverso mi fa scendere una catena che non vi dico. Quando metti giù nella testa ti galoppa un ritmo, e per quel che mi riguarda non sto a badare troppo alle imperfezioni grammaticali ecc, perché quel ritmo sento che crea in un qualche modo la sua architettura in maniera del tutto naturale. Se si mettessi a pensarci troppo, sarebbe tutto diverso non sarebbe quella fusione a caldo.

Poi naturalmente nel rimettere a posto non ci si può fregare totalmente delle regole, ma questo significa anche che cambiare una virgola levare una congiunzione che sembrano puttanate ti cambiano la morfologia, l'equilibrio totale di un interi paragrafo, alo. E questo è un "se togli lì, non è solo togli lì" , ma aggiusta di su metti di giù per ridare equilibrio. E mi fa impazzire, è molto più faticoso riscrivere che scrivere, per me almeno. Ci sto così tanto sopra le frasi che perdo ogni senso,allora vado in cucina mi faccio un tè, quanti tè ! torno rileggo, vedo se ho qualche mail, poi ritorno sullo scritto e via dicendo.
Ma scrivere, è l'estemporaneità, rivedere è una cosa per becchini, e invece tocca farla, meglio che faccio io la becchina di me stesa che poi me la facciano gli altri che non hanno avuto il mio sangue.
Poi son ancora qui a pensare al titolo, sarà che ho fatto qualche settimana fa due chiacchiere con Cavazzoni, che pure lui c'ha sempre delle idee che mi fan ridere, ma son poi anche idee di un certo tipo e mi ha dato delle idee per il titolo, di non aver paura di sembrare provinciale nella scelta dei termini. Insomma quando ho fatto qui il votaggio dei titoli il prediletto era "vorrei che fosse notte" ma sì capisco, cioè capisco che è poetico, ma è anche vero che non vuol dir niente, è un titolo che potrebbe andare bene per qualunque libro, invece siccome 'sto libro parla di una famiglia del passato che va in disgrazia a poco a poco, e poi vanno in disgrazia pure tutte le famiglie che sono attorno, tutte la famiglie hanno delle disgrazie e portano disgrazie, in questo posto io pensavo il titolo "la famiglia va in malora" - subito a dirmi che è un titolo che declassa il libro... che è un titolo provinciale, ma "vorrei che fosse notte" cosa? cosa vuol dire. Niente. L'idea provinciale meno provinciale invece, è un'altra cosa, se uno pensa al titolo "I fratelli Karamàzov" e li sostituirebbe con "I fratelli Scapin" si metterebbe a ridere probabilmente, ma poi l concetto è lo stesso, solo deve essere acquisito un titolo. E poi io credo come credeva Piero Ciampi che l'amore sta nel dettaglio, cosa più di un dettaglio ci può emozionare E' proprio nella provincia intesa come specificità delle magagne e dello stupore - che possiamo ricordare quello che fa la differenza nel bene o nel male, (viene in mente una sognora dalle mie parte d'origine che lì festeggiano il "bruza il marzo", ovvero danno l'addio al vecchio mese bruciando foglie frasche ccc... emi ha etto "mai visto uno più bello di quest'anno" ci sarà stata la fiamma alta due metri anziché due, ma questo alla fine non stringe il cuore a pensarci? Io mi chiedo adesso chi si potrebbe emozionare ancora così per una simile cosa?
Quindi anche quel male provinciale alla fine, quella cronaca - che come ha detto giustamente un amico che mi scrive - si è appropriata in maniera così ingiusta della letteratura, che dobbiamo riscuotere nei suoi termini - non è profondamente romantica, molto di più di quanto non lo sia un "vorrei che fosse notte"?

8 commenti:

Anonimo ha detto...

Dipende... sai come è, anche il titolo e la copertina fanno. Perché uno prenda in mano il libro, in caso in cui di questo non si sappia niente, è il colpo d'occhio che cattura.

Anonimo ha detto...

"Quindi anche quel male provinciale alla fine, quella cronaca ......non è profondamente romantica, molto di più di quanto non lo sia un "vorrei che fosse notte"? "

Assolutamente si!! "M(V)alori di Provincia" ..potrebbe essere un buon titolo che riassume e un po deride,con un gioco di parole, ciò di cui tu scrivi (..e un po disprezzi!).

Certo il lavoro di cesello, la revisione di particolari, ha in se qualcosa di sinistramente asettico......ma se riesci a interpretarlo nella sua accezione più "romantica", cioè come un prendersi cura delle proprie parole, della propria voce allora forse quello scrivere trascenderà dalla pesantezza meccanica del "lavoro" per rivelarsi ciò che in effetti è.... viva "arte".

Buona arte Gisy.

Santi.

^^*^^

Anonimo ha detto...

"La Famiglia in malora...aspettando la notte che verrà"


paolo
barbar

Anonimo ha detto...

Cara Gisi, leggo i tuoi scritti e mi immergo nelle tue avventure...immagino te che non ne puoi davvero più, sacrificata a dividerti tra tisane e capitoli; di certo "vorrei che fosse notte" come titolo fa proprio cagare, ma poi non è già il titolo di un film?? Da l'idea di una storia d'amore o comunque è troppo romantico e smielato e non è da te. "La famiglia va in malora" è già meglio però dal tono da la sensazione che il libro sia descritto come una parodia o comunque con toni tragicomici..Dipende se questi sono anche i toni del racconto...sta di fatto che ripensando al tuo titolo per libera associazione mi è venuto in mente "Malora di vivere"by montale! Baciiiiii

violazione ha detto...

ciao...

forse, invece che usare il termine "malora", potresti gocare dal modo di dire da cui deriva e dal suo significato primitivo, cioè dal latino "mala hora"; "ora cattiva": in senso lato "momento brutto, funesto"...

si usava dire così per indicare quelle ore, fra le 2 e le 4 della notte, quando le tenebre mettevano più paura e angoscia risvegliando incubi e ansie...

ne potrebbe venir fuori un "la famiglia alla mala hora", intendendo il passaggio verso "tempi" di angoscia, incubi, ansie, stati malsani o alterati rispetto i soliti...

la paorla MALORA, mi ricorda più quel modo di dire "oste della malora", mentre "mala hora", anche se sembra una piccola differenza, mi suona meglio per un libro...

ehi, sto solo immaginando, anche perchè solo tu ne conosci la trama in senso compiuto...

e facendo una ricerca veloce in google, ho trovato che il termine "malora" è stato usato per un titolo di un libro da Beppe Fenoglio, anno 1954; poi non so se ve ne siano altri, non ho approfondito...


insomma, le mie solite chiacchere da caffè...
ciao

Anonimo ha detto...

I titoli proposti da Santi e Violazione son carini. Immaginando il carattere drammatico che mi è parso di cogliere, io rimango attaccato al titolo "su per il sangue" che era tra quelli proposti tempo fa.

Gisy ha detto...

E' tutto un casino nella testa che non vi potete immaginare, non dovrei forse ascoltare nessuno quel libro era nato sì come "su per il sangue" titolo che fa schifo ai più, ma è sempre così poi snaturare, eppure ve lo dico come andrà a finire che magari non sarà nessuno di quelli presi in considerazione !

Il libro è drammatico sì, via, diciamo, ma io credo che sia anche grottesco, non posso non ridere delle disgrazie, come dice il saggio Learco Pigngnoli "se non c'è niente da ridere significa che non c'è niente di tragico, e se non c'è niente di tragico, che importante vuoi che sia?"

Son qui che mi rovello vado avanti 3 righe e ne torno indietro 4
quando mi dicono che scrivere non è un lavoro,beh ecco, io avrei da ridire...

Anonimo ha detto...

"Proprio nelle province più remote, dove minori sono il movimento e il commercio, dove gli stranieri transitano meno, e meno si spostano i nativi, proprio lì bisogna recarsi a studiare il genio e il costume di una nazione".

Jean Jacques Rousseau - Emilio -