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News e appuntamenti


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IN LIBRERIA

26 maggio 2010

L'estate

















Fuori ricomincia il caldo, e non l'ho mai amato.
Tanto più ironia della sorte inizia sempre quando sto per compiere gli anni. Mia mamma mi diceva sempre che da grande mi sarebbe piaciuto il sole e il caldo, invece non è mai stato così. Cosa c'è di più solo dell'estate?
I pomeriggi d'estate, mi verrebbe da dire, e se vogliamo approfondire le domeniche pomeriggio d'estate.
E' molto bizzarra la specie umana invece, sembra che per questa l'estate abbia a che fare con la scoperta, forse più la conquista che tutti si muovono d'un veloce e sorridono come per beccarsi più rapidi possibili. Beati loro che credono in uno spostarsi di nuvole. E forse fanno bene.

21 maggio 2010

Un po'st

Torno a scrivere un po'st.
Le cose non è che sono migliorate, solo che poi un pochetto ci si abitua agli sfaceli, e agli sfaceli non c'è nulla che ci si possa fare. Io non bevo, ma in questi momenti di sfacelo mi piacerebbe che mi piacesse bere. Forse è l'immagine che mi attira, l'immagine di uno che se ne frega e se la gode mentre tutto va allo sfacelo, quindi che beve godendosi lo sfacelo non tanto per dimenticarlo.
Poi oggi passeggiavo a Bologna che come ogni venerdì c'era il mercato e una tipa ad alta voce diceva all'amica mentre lei era vestita palesemente kitsch "guarda che roba trash che c'è" .
Beh non faceva una piega dal suo punto di vista, una ragazza in accademia entra e ci dice che un camionista l'ha inseguita mentre era in bicicletta fino farla cadere, poi è intervenuto un vecchietto col bastone a dirgli di non importunarla. e lui, il camionista li ha mandati affanculo tutti e due.
Del resto c'era un bel sole. E pensavo che tante cose si perdono, che le tragedie si sfiorano ogni istante e quindi alla fine quando uno si lamenta non può far altro, ma del resto parla sempre di ciò che è non di ciò che per un attimo ha perso\preso.
mai come in questo periodo mi pare davvero inutile chirdere che cosa si farà, in un certo senso avere tutte quelle certezze cosa sarò\farò da grande vorrei sempre rimandarle alla morte, e del resto non so se abbi senso averle mai se non quando si deve disegnare alle elementari per darsi un senso che mai ci abbandona.
Però poi ache il dolore, beh serve, serve a molte cose, sennò penso che anche Cesare Pavese non avrebbe fatto i suoi capolavori, ma del resto lui era Cesare Pavese per noi, lui per se stesso era uno sgorbio di sofferenza seppur con la sua lucida consapevolezza.
però poi penso quanta poesia, e un po' di quel petrolio è divenuto oro, non solo per lui che nell'operazione Mida non è riuscito, ma soprattutto per tanti dopo.
Oggi ci potrebbe essere tempo per sé?
Sì certo, tanti comodi, tanto lusso anche abbastanza a buon mercato, ma il respiro? Qualcuno che ama davvero non mi pare abbia molto spazio oggi, io penso questo sia un grande problema, e forse il mio timore più grande è quello di rinunciare all'amore perché  tutto è fatto oggi per non sentire, e in quest'anestesia quanta morte travestita da benessere e "ce l'ho fatta", "sei dentro, sei fuori" ecc, ecc, ecc.

13 maggio 2010

Arcobaleno

















Va così di merda che ieri quando è sbucato un arcobaleno era marrone.

09 maggio 2010

Scelte

























Si potrebbe pensare che la vita è fatta principalmente da ciò che non si sceglie rispetto a ciò che si sceglie. Che spesso quello che si vive altro non è che una delle centinaia di scelte che erano alle nostre spalle che ci ritroviamo in un dato presente; in ogni dato punto della nostra vita diveniamo ciò che siamo per un perfetto equilibrio di caso e causa.
Forse sarà che ho visto da poco "the butterfly effect", ma sarà che ancora di più nelle ultime due settimane son successi una serie di avvenimenti che hanno cambiato completamente la mio posizione. Cose come si dice che piovono dal cielo e ti fanno riflettere su dieci anni addietro quando dici poco.
Diciamo che uno dei lavori che avevo non ce l'ho più, va bene, ne ho altri, ma la cosa che mi fa rabbia è non tanto che non ho più un lavoro che contavo di avere, ma di essermi fidata delle, o meglio della persona sbagliata che mi garantiva di non preoccuparmi, ed io fidandomi nel frattempo avevo rinunciato ad un posto di ruolo, che porca puttana adesso mettiti di nuovo in graduatoria e aspetta che i picchi ti sfondino la testa prima di avere una così buona notizia che con tanta superiorità snobbi.
Beh, ecco, questa una cosa, (a parte che naturalmente mi si è rotto il pc che dovevo rimettere a posto il nuovo libro, ma a questo punto questo è un dettaglio davvero e sto scrivendo da un altro) l'altra cosa sempre legata a questa cosa del lavoro è che mi viene in mente che ho piantata a metà l'università e che pure quella ora a maggior ragione mi spiace di non aver terminato, tutto l'amore che avevo per la chimica si era affievoliti da eventi transitori molto esaltanti, ma che a poco portano e anche perché uno che lavora fa fatica ad essere poi da due parti contemporaneità tanto più se si tratta di laboratori; e quindi questa la sento una mezza colpa, ma non per la semplice laurea, ma perché mi sento di aver tradito un mo sogno primigenio che è quell'adorazione che ho per le molecole, e che da sempre ho vissuto come una magia.

Nemmeno da dire che l'amareggiamento più eclatante però, lo si ha sul piano umano, gente che sembra sbandierare affidabilità e fiducia, un gran cuore, e che sparisce, mi è già capitato con altre amicizie, e son cose che si ricordano perché anche poco meno di un due anni fa per una cosa da poco un caro amico quasi di punto in bianco non si è più fatto vivo dopo una discussione. Ma in amicizia come in amore se le cose sono vere non penso basti un colpo di vento a buttarle nel fondo. Allora uno ripensa a tante cose, a cosa c'era di vero e cosa no, e per cosa si vive se non nella credenza di avere un affetto vero, un po' di verità. 
Tante cose ci si passa sopra, poi succede la storia della ciliegina sulla torta e tutto riaffiora, scegliere: da che parti stai? Qui o là.
Scegli, altro percorso, sceglie dove stai ? Qui o là. Scegli, Da che parti stai qui o là? là...ecc...
ti ritrovi un po' come una partita, ti vengono date delle carte che ti paiono buone, ma il fatto è che non sai mai con chi stai giocando. 
Insomma è una lotta tra l'ironia della sorte e la tua. e io spero sempre che la mia riesca ancora a tenere botta. Perché se non si ride seppur con un briciolo di consapevolezza si è perduti, ma come si fa a non provare anche solo un po' di nostalgia. Nostalgia di cosa direte?
Forse di quello che non è stato, più che di ciò che è stato, quello che è stato è stato, e non è l'italia che delle volte va stretta, è il vissuto e anche quello... che retrospettiva...
Dopo un po' che non scrivo, scriverei un papiro e questo sarebbe solo noia, perché quanto i sentimenti sono intensi, la rabbia, ma più la desolazione, e l'esasperazione, nulla basta a colmare e rimettere la pace.
Anche se devo dire che fuori sembra una giornata stupenda, e non ho nessuna voglia di perdere tempo, tanto più il mio.
In maniera egoistica spero che le persone che debbano farsi un'esame di coscienza se lo facciano, ma tanto se lo fanno sempre quelli che non ne hanno bisogno....e ringrazio naturalmente quelli che negli anni mi hanno dimostrato tante cose per davvero.

Buona domenica !

04 maggio 2010

E' tutta ipocrisia...

Sicuramente come ho già detto, immagino (non so se l'ho già detto ma probabilmente quando le cose son vere si tendono a ripetere all'infinito anche si don stradette) Ezio Vendrame è uno delle persone che più mi hanno pensare, riflettere direi quasi illuminato tra quelle che ho incontrato nella mia vita, e quindi ogni tanto ho la necessità di postarlo, di farlo conoscere il più possibile, e riportare quello che dice, perché certo alcune cose possono sembrare ovvie e scontate ma dette da uno che le vive così in maniera pura vera da vero Cristo, ecco io credo assumano davvero tutt'altro significato. e ad ascoltarlo direi che non ci si sbaglia.

"Invano cercai di venere casa con me dentro"

"Io dico ai ragazzi di salvarsi da questa terza guerra mondiale,  salvarsi significa avere ilo telecomando della propria vita in mano, dobbiamo noi scegliere le cose, non farsi scegliere. Dobbiamo essere i protagonisti della nostra vita senza nessuna paura di sbagliare. Sbagliamo che sbagliare è la cosa più bella della vita, ma sbagliamo decidendo noi i nostri sbagli..."

01 maggio 2010

Amami se hai coraggio

Pur non essendo esattamente il mio genere, mi è piaciuto davvero un sacco questo film Amami se hai coraggio che ho trovato per caso...ho dovuto davvero guardarmelo tutto :)

26 aprile 2010

Condanna a vita



















"... Noi siamo condannati a vivere una vita, e dunque la nostra è una condanna a vita, per uno o più delitti, chi lo sa?, che non abbiamo commesso, oppure che commettiamo di nuovo per altri che verranno dopo di noi. Abbiamo acquistato in capacità di resistere, nulla ormai può farci capitolare, non siamo più attaccati alla vita ma nemmeno la svendiamo a un prezzo troppo basso, questo era quello che avrei voluto dire, ma non l’ho detto. Tutti qualche volta alziamo la testa credendo di dover dire la verità o quella che sembra la verità, e poi di nuovo la incassiamo nelle spalle. Questo è tutto."

                                                                                            "La cantina", Thomas Bernhard

22 aprile 2010

Pittore, se vuoi la fama diventa mediocre

"Pittore se vuoi la fama diventa Mediocre", si intitolava l'articolo della pagina di cultura del Giornale di mercoledì 21 aprile un articolo di Luca Beatrice che approvo parola per parola e non mi serve nemmeno tanto commentare perché è come se mi leggesse nel pensiero, e ovviamente non solo a me, che qualche perplessità sull'arte concettuale contemporanea  mi viene.Così tutto l'apparato che riguarda la cultura attuale naturalmente.

di Luca Beatrice
Sciatto, trasandato, incerto e con una punta di arroganza: questo è il tipo di artista esaltato dai critici Per i quali vendere molti quadri è da piccolo borghese. Eppure in Italia i giovani di valore non mancano
Facciamo un gioco. Prendiamo un quadro figurativo di buona (anche se non eccelsa) qualità. Appendiamolo per una settimana alle pareti del ristorante pizzeria Marechiaro. Quindi trasportiamolo in una galleria media, di quelle che i critici con la puzza al naso definiscono sbrigativamente «commerciali». Infine inseriamolo in una mostra importante, curata da un nome giusto, nelle sale della Fondazione Sandretto o di un museo egualmente conclamato. Attenzione, sempre lo stesso quadro!
Nel primo caso avremo l’elaborato domenicale di un dilettante, che per hobby ha chiesto al proprietario del ristorante di ospitarlo e, magari, di provare a venderlo a cento-duecento euro. Nel secondo, il dipinto aumenterà di valore ma non troppo (qualche migliaia di euro), perché la galleria non è così buona e si presume che lì un grande artista non lavorerà mai. Nel terzo e ultimo caso, il quadro prenderà la strada maestra del successo, lodato dagli addetti ai lavori, inseguito dai collezionisti disposti a spendere cifre folli per portarselo a casa, in quanto il suo valore è stato certificato da Bonami o da Birnbaum, dalla Tate Modern o da White Cube. Di tutto sentiremo discutere, tranne che di qualità intrinseca dell’opera.
Dalle prime avanguardie del Novecento è andato infatti radicalizzandosi quell’atteggiamento per cui è il contesto, e solo il contesto, ad attribuire valore all’arte. Per secoli i musei erano pinacoteche piene zeppe di quadri: capolavori, maestri, scuole, epigoni e croste che entravano di diritto a far parte delle collezioni pubbliche in quanto superfici dipinte, dunque riconosciute da tutti come arte. Poi è arrivato il gesto geniale e provocatorio di Marcel Duchamp il quale, piazzando un orinatoio dentro una sala bianca, ci ha dimostrato che qualsiasi cosa sarebbe potuta stare lì, bastava la certificazione del contesto e l’accordo tra i diversi attori del circo. Duchamp tutto avrebbe potuto prevedere, tranne che di essere preso così sul serio dai posteri.

Entrando oggi in uno qualsiasi dei santuari globali dell’arte contemporanea ci troveremo di fronte a una sfilza di oggetti in disuso, scarti, pezzi di neon, sculture minimaliste o forse avanzi di piastrelle, readymade postecnologici, scritte... e a nessuno verrebbe mai il dubbio che non si tratti di arte. Se stanno lì dentro, nel museo, sono arte e basta. E se sono cose brutte e inutili? Chissenefrega! Il paradosso è che la pittura, oggi, è l’ultimo readymade. In quanto linguaggio artistico per definizione e per storia, deve «meritarsi», faticando assai, l’inclusione in posti così cool and trendy che con il passato non vogliono aver niente a che fare.
Domanda: ma se sono un bravo pittore, come posso essere preso in considerazione dai curatori alla moda? Un bel casino, ragazzo mio! Intanto vedi di non essere troppo bravo, troppo capace e virtuoso. Sii sciatto piuttosto, trasandato, incerto, dipingi se puoi come un incapace o un mentecatto. Se qualcuno ti dà del pittore, ribellati, guardalo in cagnesco e spiegagli che tu sei «un artista che usa la pittura». Ricorda: ai critici, che sono spesso artisti falliti, piace il non finito che fa molto «tormento ed estasi»; prediligono i fondi bianchi su cui ritagliare figurine incerte o volti dall’espressione idiota. Se collabori con qualche galleria «di mercato» sei finito. Se vivi decorosamente del tuo lavoro ti daranno del commerciale. Se vendi parecchi quadri ti accuseranno di interpretare il cattivo gusto della piccola borghesia.

E allora? Se proprio ci tieni, almeno in apparenza rimani uno sfigato qualsiasi e comportati da artista, non da ragioniere. E non dire che hai dei soldi, sennò ti danno della puttana.
Altra regola importantissima: sostieni di produrre pochissimo, quattro o cinque quadri l’anno, perché il tuo stile è lungo, tormentato, difficile. E poi, altro must: non rimanere prigioniero della bidimensionalità, del quadro tradizionale, che lo capisce anche la massaia. Espanditi nello spazio, sfonda gli argini, contamina la superficie con materiali anomali, inserisci oggetti e, mi raccomando, ogni tanto fai una fotografia o un’installazione, da abbandonare lì per caso. E infine, ci vuole anche una discreta fortuna, perché l’accettazione di un pittore nel contesto dell’arte contemporanea spesso rappresenta un autentico mistero. Una che passa per essere davvero brava, e di conseguenza costosa, è la romagnola Margherita Manzelli. Tra i più giovani vanno di moda Pietro Roccasalva, imitatore senza particolare qualità e fotocopiatore di Bacon, Simone Berti, autore di strambi animali-macchina su fondo rigorosamente bianco. Secondo i critici killer della pittura, in Italia non ci sarebbe altro.
Invece ignorano o snobbano le decine e decine di ottimi pittori che in un Paese libero e non provinciale come il nostro godrebbero di ben altro trattamento. Alcuni di loro, ma senza esaurire l’ampia disponibilità, Beatrice Buscaroli e io li abbiamo invitati alla Biennale di Venezia nel 2009, e tra poco ne parleremo, contando che Vittorio Sgarbi faccia altrettanto nel suo Padiglione Italia 2011. Chi segnalare tra le decine di pittori «under quaranta» meritevoli oggi d’attenzione? Certamente nella linea che si ispira al disegno, all’illustrazione, alla sintesi e all’immediatezza, vanno considerati Gabriele Picco, Fausto Gilberti, Andrea Mastrovito, Laurina Paperina, Laboratorio Saccardi, Erica il Cane, Blu (questi ultimi due appartengono alla corrente dei nuovi graffitisti presentati nella mostra «Street Art, Sweet Art», del Pac a Milano nel 2007). Tra i pittori «puri» suggeriamo senz’altro di prestare attenzione a Gabriele Arruzzo e Manuele Cerutti, mentre tra coloro che usano questo linguaggio mescolandolo ad altri, la cosiddetta Expanded Painting, molto buono risulta il duo fiorentino Pieralli & Favi.


                                                                                              Luca Beatrice

20 aprile 2010

Freak Schow

Ieri notte mi è capitato di guardare quel format  demenziale chiamato Italian got talent show, dove si presentavano dei ragazzi, delle persone ad esibirsi portando le proprie abilità, che andavano dall'esibizione canora, lancio di coltelli, e svariate altre, ovviamente ogni esibizione doveva passare sotto il giudizio della giuria formata dalla De Filippi, Gerri Scotti, e un produttore della Sony.

Mi ha colpito la presenza di alcune persone chiaramente molto problematiche, e in questo senso trovo molto poco rispettoso che si trovassero lì, non perché non sia giusto che quelli problematici se ne stiano in tv e quindi che se ne stiano a casa propria, ma perché in quel contesto non diventano che un fenomeno da baraccone o meglio da baldraccone potremo dire. Con gran divertimento del pubblico, ma con grandi danni a loro che pensano davvero di ricevere una vera gratificazione nel trovarsi lì, magari con qualche aspettativa nel facile agognato mondo dello spettacolo, "in fin dei conti ci vanno quasi tutti e molti fanno pure i soldi, perché io no?" e da lì aspettativi e rancori irrisolti, vedendo già i loro occhi delle gran aspettative e dei gran amareggiamenti alle bocciature, o alle critiche dei tre giurati. E su questo è veramente il sistema innescato che è lurido alla base. un tempo c'era la corrida e tutto si fermava lì, oggi ci sono questi programmi con l'idea che dopo puoi essere chiamato a destra o manca, quindi esistere per quelli che ti guardano.


Fatto sta, che in questo format oltre gli altri disperati si presenta un ragazzo vesito da chef. Nel bancone preparato ci sono diversi ingredienti dentro delle ciotole. In queste ciotole LUI aveva scelto di mettere cibo per cane, cibo per gatti, nutella, limone, e altri ingredienti che non ricordo. Entra tutto saltellante dicendo che la sua esibizione consiste nella scelta di alcuni di quei ingredienti da parte della giuria, una volta scelti lui li avrebbe messi in un mixer e una volta frullati - avrebbe ingurgitato il preparato e in base a questo avrebbe improvvisato l'esibizione che sarebbe stata giudicata.
De Filippi e Scotti si rifiutano di proseguire l'esibizione mentre il terzo della giuria per senso di provocazione fa mescolare  il cibo per gatti con la nutella  perché no, un pò di limone che c'ha le vitamine dice.
Il ragazzo chef frulla il tutto con un bicchiere d'acqua e tra gli sguardi schifati sta per ingurgitare, lo fermano appena in tempo.

Ecco, senza saperlo quel ragazzo è stata la metafora esatta di ciò che provoca l'idea della televisione d'oggi nei ragazzi special modo, ovvero: "datemi da bere anche la merda purché mi diate la possibilità di farmi vedere" quindi secondo la loro logica di esistere. 


Questa è stata davvero come performance davvero perfetta come metafora per esprimere quello che più penso oggi su questi fenomeni.


La De Filippi stessa che non amo più per ciò che rappresenta che per quello che è, gli dice che quello non è il modo giusto per farsi notare, anche se certo un bella gran mano lei lo dà perché questo distorto esibizionismo abbia spazio. La risposta del ragazzo è stata: "almeno qualcuno avrò colpito".
e questa è l'ennesima testimonianza che non importa come e perché, l'importante è apparire anche se da  Freak morale.




17 aprile 2010

Dormire

Il sonno, il sonno, quando posso dormire soprattutto nel pomeriggio con quel senso  di abbandona, di oblio che porta, e di straniamento, per tutte quelle volte che avrei voluto scrivere quel che provavo senza riuscirci, un passaggio di André Gide, dice alla perfezione quello che sempre averei voluto dire...






[…] fu un periodo inquieto di attesa e come la traversata di una palude. Sprofondavo in prostrazioni di sonno da cui non mi guariva il dormire. Andavo a letto dopo il pranzo; dormivo, mi svegliavo ancor più stanco, l’animo intorpidito come per una metamorfosi. Oscure operazioni dell’essere: travaglio latente, genesi di ignoto, parti laboriosi; sonnolenze, attese; come le crisalidi e le ninfe, io dormivo; […] Ah! Venga finalmente - supplicavo - la crisi acuta, la malattia, il dolore vivo! E il mio cervello si paragonava a cieli di burrasca, ingombri di nuvole grevi, dove si respira a fatica, dove tutto è in attesa del lampo che squarci quegli otri fuligginosi, carichi d’umore, che celano l’azzurro. Quanto durerete, attese, e una volta finite, ci rimarrà di che vivere? - Attese! attese di che? gridavo. Che poteva accadere che non nascesse da noi? E che poteva accadere di noi che già non conoscessimo?

André Gide, Les nourritures terrestres

13 aprile 2010

La tecnologia mi fa dannare

E' un periodo che la tecnologia mi fa dannare.
Word non effettua il salvataggio automatico, il blog non carica le immagini (mi tocca scrivere il testo salvarlo in bozze e caricarlo da un altro pc),come se non bastasse c'è un virus che ogni tanto si innesca e mi fa scrivere le parole al contrario. Son quelle cose che mettono ciliegine sulle torte, che ieri tra l'altro non mi è riuscita, una bella torta molle di banana poco cotta. Uffa,.

Naturalmente causa malfunzionamenti word mentre correggevo il libro ho perso un'ora  mezza di correzione, scrivere le ricette sul blog senza l'immagine mi sembrava una cosa inutile, e poi nemmeno la soddisfazione di potermi consolare con la torta di banana che non si è cotta - così e mentre scrivevo una mail incazzata ad una mia amica per tutte queste cose le parole andavano all'indietro e non riuscivo proprio a scrivere.
Insomma non mi rimaneva proprio che tornarmene a letto, e facendo il conto se ogni volta che insorge una delusione vado a letto ho fatto media e da quando esisto non vado mail di media sotto le dieci ore giornaliere di sonno.
Kafka scriveva i migliori racconto nel dormiveglia, mi dico sempre.
Che a me anche vengono delle immagini che mi paiono bellissimi nei dormiveglia, ma non sono Kafka e nemmeno uno scarafaggio, avrebbe pensato Doestoevkij, insomma mi tocca accontentarmi dopo il dormiveglia di andare a farmi un tè, con poca teina, sennò gli attacchi di panico fanno festa, poi si pensa alla cena che pensar a cosa cucinare è la cosa migliore delle giornata, poi un film e poi a letto, così facendo due conti a 30 quasi 31 anni ho dormito quello che le persone sane che lavorano sanamente di solito dormono fino ai 40 anni, Se uno potesse avere indietro gli anno che ha dormito accidenti !
ogni tanto lo penso, se il tempo passasse solo quando siamo svegli, penso che non supererei i 15 anni.
Ma l cose non vanno così, ed io sono molto arrabbiata con gli informatici che devono fare computer e programmi indistruttibili.

10 aprile 2010

Louis Ferdinad Céline in foto: Intervista ad Andrea Lombardi


LOUIS FERDINAND CELINE IN FOTO un libro a cura di ANDREA LOMBARDI: dall'infanzia di Céline alla prima guerra mondiale. Intervista al curatore del libro.










 Louis Ferdinand Céline in foto, un libro fatto di saggi e interviste inedite in Italia, e niente di meno che una raccolta di fotografie più o meno conosciute e sconosciute, dello stesso Céline. Come mai la scelta di affrontare in maniera piuttosto personale (nel senso di ideazione e realizzazione)  un lavoro su di  un autore così importante? Cosa ha rappresentato per te Céline, e cosa ti ha suggerito?

Non essendo né un critico letterario né un esperto di letteratura francese, fare un libro di foto era la mia unica chance di pubblicare qualcosa su Céline!

Scherzi a parte (o quasi), l’idea del libro è nata dal blog celine.blogspot.com , da me creato qualche anno fa. Lo stesso blog era nato soltanto come un piccolo spazio personale, tanto per provare la piattaforma blogger… sennonché, senza saperlo, avevo invece riempito un grosso vuoto nell’etere informatico: in effetti non vi era alcun sito specifico in italiano dedicato a Céline, e in breve tempo mi sono trovato circondato da un numero crescente di céliniani italiani che visitavano e sostenevano il sito; ormai sono degli amici veri e propri, e ho avuto anche la fortuna di conoscerne di persona diversi. Così, anche grazie a un céliniano “professionista”, Gilberto Tura, ho sentito la necessità di fare qualcosa che non fosse solo il “copia-incolla” di una biobibliografia di Céline, ma di dare ai “miei” amici e appassionati di Céline qualcosa di diverso, ricordando questo “gigante spezzato” traducendo alcune sue interviste e ricordi di chi lo aveva conosciuto, dalla moglie Lucette Alamnsor, allo scrittore Michel Aymè, dall’ex Ministro di Vichy Abel Bonnard , all’attrice Arletty, al grande scultore Arno Breker, Gen Paul, Rebatet… in massima parte materiale inedito in Italia, prima postato sul blog e quindi pubblicato nel libro “Louis-Ferdinand Céline in foto”, con altri scritti, saggi critico letterari, e una rassegna fotografica comprendente l’infanzia di Céline, la prima guerra mondiale, gli anni del successo del Viaggio al termine della notte e Morte a credito, l’Occupazione, l’esilio in Danimarca e il termine della notte a Meudon…

Céline per me rappresenterà sempre l’emozione di leggere il Viaggio da adolescente, uno dei pochi libri che letti al momento giusto ti cambiano la tua visione della vita.

Per le traduzioni delle varie interviste di Céline e su Céline che non erano mai state pubblicate in Italia; su che criterio ti sei appoggiato per poter fare un buon lavoro, sicuramente di non facile realizzazione?

Il paradosso è che ho studiato francese solo alle medie, mentre traduco molto di più, anche professionalmente – traduco testi di storia militare - dall’inglese!
Però per tradurre Céline, devi innanzitutto sentire la sua “petite musique”… anche nella sua lettera più breve, Céline è là; una volta che hai capito la sua “musica”, leggendolo e rileggendolo per anni, il più è fatto.


Ricordiamo che qualche tempo fa, curasti un Pamphlet di inferocite lettere di Céline  "al già diventato succubo Sartre"  come lui stesso dice...

Questa è stata la mia prima possibilità di cimentarmi, nel mio piccolissimo, con Céline… dell’Agitato in provetta c’era stata già una prima traduzione italiana, (poi ristampata), di difficile reperibilità… la brevità del pamphlet mi aveva incoraggiato a tentare: facemmo un piccolo libretto, con il testo francese e la traduzione a fronte; ricordo le mie risate man mano che traducevo i sempre più pirotecnici insulti di Céline a Sartre, anzi, Tartre!


Céline, discusso, idealizzato, amato, odiato, cosa si sbaglia ancora oggi nell'idea di Céline?

Guarda, in teoria per non sbagliarsi basterebbe leggerlo e basta.

Ultimamente, con quella mancanza di equilibrio tipicamente italiana, dopo che negli ultimi anni, in Italia, si era tornati alla demonizzazione di Céline o al massimo agli ipocriti distinguo, in alcuni recenti saggi si è passati a incensarlo a priori, condonando i lati negativi di Céline, reali o presunti, in nome di un trasporto emotivo, e questo è comprensibile, o di un interesse a portarlo, una volta emendati i suoi difetti, nella propria parte politica; in un caso recente, tanto per cambiare rispetto all’incasellamento di Céline nel milieu della destra radicale, Céline è stato arruolato d’ufficio nel pantheon degli autori comunisti… sulla base attendibilissima di una frase e mezza di Céline, peraltro scritta nel contesto vorticosamente polemico dei pamphlet, ed espunta dall’intero corpo di opere e lettere dello scrittore francese, il quale, peraltro, aveva lucidamente sgomberato il campo da ogni possibile dubbio nel suo discorso di Medan; cito dal “Louis-Ferdinand Céline in foto”:

[…] durante le celebrazioni dell’anniversario della morte di Emile Zola, Céline, il primo ottobre 1934, nel suo discorso di Medan, rifiuta sia la società capitalista sia quella marxista, sconcertando la sinistra francese, che aveva tentato di portare nel suo alveo lo scrittore. Céline, infatti, dichiarò:

Noi siamo giunti alla fine di venti secoli di civilizzazione e, comunque, nessun regime potrebbe resistere a due mesi di verità. Io voglio dire che vedo la società marxista uguale alla nostra borghese ed a quelle fasciste.



Cosa distingue il Céline uomo dal Céline autore se è possibile fare distinzione?

No, non credo si possano fare distinzioni tra il Céline uomo e Céline autore, mentre, ed è lui stesso ad averlo sempre stigmatizzato, il grande errore che si può fare è confondere Bardamu con Céline; molti equivoci sono nati – e parlo della critica, anche grande - considerando il Voyage come un’autobiografia di Céline.


Qual'è il grande insegnamento di Céline? E quanto centra o non c'entra con l'identità nazional-politica?

Il grande insegnamento di Céline è, a mio avviso, quello che si debba continuare a vedere nell’uomo un briciolo di umanità anche quando ci siamo resi già da tempo conto che l’umanità, di umanità ne ha ben poca.

Quindi direi che la politica non c’entra proprio; c’entra l’uomo.


Si continuerà sempre a parlare di Céline e l'antisemitismo? In Bagatelle per un massacro, e  La scuola dei cadaveri, attribuisce la rovina della Francia agli ebrei, ma lui stesso dichiara che il solo vero crimine che ha commesso è stato di credere nella salvaguardia della propria nazione, e in ideali sbagliati, ma tutto inizia e finisce nel credere in un ideale, non nel compierne azioni criminose in maniera attiva...

Dovrebbe esser così chiaro che per scannarsi le nazioni e gli eserciti non aspettano certo le tre righe scritte da uno scrittore o dall’altro!

Céline ha avuto il torto imperdonabile di essere un uomo libero, perciò, come scrisse Dominique de Roux, doveva essere distrutto, è stato distrutto, dai suoi “confratelli letterari”. Se si fa parte di una combriccola, di destra, sinistra, bianca rossa o nera tutto si perdona o giustifica; il voler essere liberi, il non cercare appoggi nelle consorterie, mette paura, invidia e gelosia. L’”antisemitismo”, il presunto –anzi inesistente - collaborazionismo di Céline lo hanno reso vulnerabile ai piccoli uomini invidiosi del suo stile, come Sartre.


Perché Bagatelle per un massacro continua ad essere il suo libro più conosciuto, più esemplare, in cui sembra si identifica maggiormente la figura di Céline...

Dai, non sono d’accordo: in realtà il libro più conosciuto rimane il Viaggio; poi va da sé che se tu guardi le stringhe su Google è Bagattelle, ma solo perché, essendo difficilmente reperibile, c’è più gente che lo cerca nelle pieghe spaziotemporali del web!

E spesso, chi vuole vedere Céline solo in Bagattelle, è chi lo vuole incasellare tra i suoi buoni o i suoi cattivi, a seconda della propria bandiera.


Cèline, al contrario di ciò che si pensa trasuda una grande umanità, un grandissimo cuore, soprattutto dalle sue interviste si capisce la differenza tra un uomo e un grande uomo... i timori umani, la tenerezza, ma anche lo schifo e la miseria che può provare per il corpo, per l'invecchiare, per la condizione umana ...ma non solo qui, in Morte a credito  dice esplicitamente

« Eccoci qui, ancora soli. C'è un'inerzia in tutto questo, una pesantezza, una tristezza... Fra poco sarò vecchio. E la sarà finita una buona volta. Gente n'è venuta tanta, in camera mia. Tutti han detto qualcosa. Mica m'han detto gran che. Se ne sono andati. Si sono fatti vecchi, miserabili e torbidi, ciascuno in un suo cantuccio di mondo. »

quindi anche molta pietà sulla condizione umana unita al disgusto, condizione che solo persone dotate di una feroce sensibilità possono scorgere.

Infatti non a caso Céline mette sempre, tra l’umanità disperante che popola la società abbietta e calcolatrice di tante sue opere, una o due perle: le Molly o gli Alcide che danno tutto senza chiedere nulla, e appaiono così normali mentre lo fanno.

Non tutti quelli che, come me leggono Céline son antisemiti, così non sempre chi legge Proust è omosessuale... questa è una dichiarazione, di Nicolas Sarkozy, Oggi Céline si legge di più per conoscere la storia, o per goderne la scrittura, o per condividere su degli ideali che forse oggi lui stesso sghignazzerebbe, ma che friggono nei cervelli di parecchia gente... o...?

Povero Sarkò! Temo che Céline non avrebbe una gran stima di lui, comunque bella frase.
Se penso alla media dei miei amici céliniani, lo si legge per lo stile; anche perché “lo stile, è tutto!”
Il Viaggio, lo leggi per vedere poi la realtà con altri occhi, se lo leggi presto. Céline all’inizio scriveva infatti per i giovani; quando si diventa uomini ormai al 99% si è incurabili.


A tuo parere, un traduttore che ha saputo tenere testa lo scrivere, il sentire di Céline?

Pontiggia nel Bagattelle. Bravissimo. Poi Ferrero, Celati... la traduzione peggiore sembra sia quella di Caproni di Morte a credito.

Sulle traduzioni, almeno per i nostri scrittori più amati, trovo che sia utile leggere uno o due libri in lingua originale: le opere tradotte –sarà lapalissiano- sono scritte da un altro, traduzione riuscita o meno… anzi, magari il rischio è che più è riuscita più è un’altra opera! Fuori di paradosso, questo è un problema quando a tradurre è uno scrittore e non un traduttore professionista; lo scrittore talvolta piega la traduzione secondo la sua sensibilità. Certe volte è un bene; spesso è male.

Il tuo nuovo libro ci offre qualcosa che prima non c'era...almeno in Italia...
Ci sono anche interventi (italiani) inopportuni di qualcuno che sembra non aver proprio colto lo spirito di Céline...


Grandiosi, Piperno e Moresco… visto il mio interesse professionale per la storia, nel “Louis-Ferdinand Céline in foto” volevo usare lo stesso metodo d’approccio che uso nei libri di storia da me scritti o curati: ossia emico, e non etico. Chi tratta di storia non dovrebbe tentare di cavare dagli avvenimenti storici insegnamenti morali (diffidate da chi pensa di insegnare la “Storia” con la “S” maiuscola…), ma dovrebbe solo presentare i fatti; un minimo di interpretazione ci sarà sempre, è inevitabile, ma per quanto possibile si deve dare precedenza ai fatti e ai documenti, non partire dal presupposto che i documenti dovranno provare la mia tesi! Lo stesso ho fatto con Céline; presentando la sua vita, le sue opere, le sue interviste, le fotografie sue e dei personaggi del suo tempo… la mia opinione su Céline, artista e uomo, è solo una filigrana leggera che tiene unite queste parti, come il filo di un aquilone. L’unica parte del libro dove ho accantonato questa linea guida è stato commentando quei due articoli di Piperno e Moresco, così superficiale l’uno, e così artefatto l’altro. Non è questione di pensarla diversamente: è che parlavano di una persona, e di un’opera, conoscendo poco o punto dell’una e dell’altra.

Cosa pensi che direbbe oggi Céline, se potesse guardare il mondo?

Se Céline commentava l’uomo del 1930, già tutto diritti e nessun dovere, come “l’impraticabile buco di culo che si crede Giove allo specchio” e che i proletari vogliono non la riscossa sociale ma poter giocare ai “whiskymilionari” figurati il Grande Fratello del 2010… ti rispondo con le parole di Aymè, uno dei migliori amici di Céline:

Le sue più grandi collere, le ho viste scatenarsi contro tutto ciò che riteneva conducente all’abbruttirsi dell’uomo, all’abbandono di se stesso: l’alcol, gli stupefacenti, l’abbuffarsi di cibo scadente, la sessualità sfrenata, il lusso, la miseria, le false barriere, la religione (ai suoi occhi, sembrava che i peccati contro la Chiesa, avvallassero i peccati contro l’uomo), le ipocrisie sociali e mondane che, sotto una copertura d’onestà, favorivano lo scatenarsi delle cattive intenzioni. No, non era la nausea che invadeva Céline allo spettacolo di una società accanita a distruggersi in ciascuno dei suoi individui. Era un odio robusto, potente l’odio di un nemico contro il quale non si sentiva totalmente disarmato per nulla, lui che aveva avuto la volontà di disciplinarsi e che pensava di fare un’opera meritoria nello spingere il naso di chiunque nella sua propria lordura.

…e ti ringrazio per la chiacchierata, salutando gli amici céliniani in giro per il web!

Il libro è reperibile su Hoepli.it

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