E’ vietata la riproduzione, parziale o totale, in qualsiasi forma e secondo ogni modalità, dei contenuti di questo blog, senza l’autorizzazione preventiva dell’autore.
Tutte le interviste, gli articoli, e le pubblicazioni artistiche realizzate da Gisela Scerman sono protette dal diritto esclusivo d’autore, e il loro utilizzo è consentito solo citando la fonte e l'autore e/o chiedendo il permesso preventivo dello stesso.

Creative Commons License



News e appuntamenti


x




IN LIBRERIA

29 marzo 2010

Silenzio in Emilia: Intervista a Daniele Benati


Ne avevo parlato qualche post fa... è uscito per la Quod Libet, la ristampa del libro Silenzio in Emilia di Daniele Benati, un'intervista all'autore mi sembrava più che doverosa, soprattutto per rendere giustizia ad un modo che io condivido appieno nel guardare alla letteratura, alla scrittura e all'editoria, ma questo è giusto che lo dica un autore vero, con un libro vero, come è Silenzio in Emilia, dove la morte può fare ridere, più della vita sez'altro...
a voi...




Intervista a Daniele Benati su Silenzio in Emilia 

La prima domanda che mi viene su questo libro, cos’è la speranza più forte che una persona può avere in vita? E quale se ci fosse una consapevolezza postuma?


Non lo so, ma credo che la speranza di ognuno sia di realizzare i propri desideri. Fama, denaro, amore. Credo che si siano spente le megalomanie di trasformare il mondo in base a un credo ideologico. In quanto a una consapevolezza postuma, se ci potesse essere,  penso che ognuno di noi vedrebbe chiaramente come tante cose a cui ha dato valore, di valore ne avessero ben poco.


-Silenzio in Emilia è un libro di racconti di personaggi  che per un motivo o per l’altro hanno a che fare con la morte, che spesso è la propria, altre volte è quella di chi li circonda, altre è la paranoia della morte. Nonostante l’argomento, si ride molto in questo libro. Perché è proibito oggi ridere della morte, anzi non solo ridere della morte, ma parlare della morte a meno ché non sia cronaca che allora la stessa morte viene trasformata in altro?

Beh, la morte è un tema che non attrae molto gli editori, a meno che non sia legato a qualche fatto di storia attuale, come una guerra o qualcosa di simile, che allora sono pronti a cavalcarlo, perché ne parlano già i media. Ma un libro che s'intitolasse La morte di Ivan Ilic oggi un editore ci andrebbe piano a pubblicarlo. Se l'autore fosse anche un nuovo Tolstoi gli proporrebbero di cambiar titolo. Come hanno fatto col primo libro di Ugo Cornia, che lui voleva intitolare Tanto fra un po' saremo tutti morti. Quanto al mio, Gianni Celati, all'epoca della prima edizione, mi aveva suggerito di intitolarlo Storia naturale dei morti, che poi ho scoperto essere un titolo che Hemingway aveva dato a un suo racconto. Io non l'avevo messo perché mi sembrava un po' troppo statuario, lo vedevo scolpito nel marmo bianco di una tomba e non mi sembrava che corrispondesse allo spirito del libro, che invece è pieno di vita. La morte, infatti, nel mio libro, è solo un artificio tecnico che serve per dare risalto alle cose, anche più stupide, che facciamo nella vita. Non ha niente di funereo, e non è tragica. Tragica, semmai, è la vita. 

-Una cosa che mi ha molto colpito leggendo il tuo libro, è questa sensazione di tremenda malinconia, nonostante il fatto della morte sia sempre presente,  più che la morte come sensazione spicca la nostalgia, la malinconia. In alcuni racconti, i personaggi stessi che narrano sono già morti, e vanno a vedere cosa è cambiato e cosa è rimasto uguale, quando non ritrovano più le cose al loro posto vengono spiazzati, cercano un po’ di conforto spesso frugandosi nelle tasche alla ricerca di qualcosa che li consoli, magari una sigaretta, ma nel primo racconto ad esempio il massimo che si trova nel taschino è un bottone di ricambio.

E perché non potrebbe essere proprio così l'aldilà, se ci fosse? Un mondo nel quale si ha la costante sensazione di aver perso qualcosa e ci si trova a mal partito. E' un po' il contrario di quando siamo nati, dato che in quel momento il qualcosa lo abbiamo trovato, seppure inconsapevolmente. Nei miei racconti è come se i personaggi si ritrovassero daccapo con la loro vita, ma incapaci di mandarla avanti. Hanno la stessa curiosità e la stessa preoccupazione che avrebbe un neonato se capisse che è nato. In realtà sono morti, ma non hanno la consapevolezza di esserlo esattamente come a un neonato manca quella di essere nato.
 
  
Qui i personaggi, son per lo più gente “semplice” normale, di paese, pure se con le loro ambizioni, i loro crucci, le loro invidie, sentimenti umani del resto, un po’ sembra di conoscerli da tanto sono reali, hai preso spunto da persone che hai conosciuto nella tua vita, o mi sorge il dubbio potresti essere anche tu? 
 
No, a me innanzitutto vengono in mente dei nomi, o delle persone di cui posso aver sentito parlare e che per un motivo o per l'altro mi sono rimaste in mente. E questi nomi e queste persone hanno la capacità di trasformarsi immediatamente in personaggi. C'è qualcosa di adolescenziale, in questo. Di quando, da ragazzi, si cercava di penetrare nel mondo degli adulti attraverso la frequentazione di bar o di compagni un po' più grandi che a loro volta ne conoscevano di più grandi ancora che avevano già una notorietà locale perché magari stavano per essere venduti a un grande club di calcio o perché erano stati a Amsterdam in autostop. E allora si sentiva parlare del tale e del tal altro come fossero effettivamente dei personaggi. Gran parte dei nomi dei personaggi di Silenzio in Emilia, come pure quello di Pignagnoli, che però è antecedente al libro, dato che lo avevo usato per un racconto intitolato Sanremo, sono tutti nomi che sentivo da ragazzo e quasi tutti da un mio amico che faceva l'elettrauto e mi parlava dei suoi clienti. Ho sempre pensato che l'età dell'adolescenza è un grande serbatoio di emozioni e di idee per chi scrive, perché è lì che ci si affaccia al mondo e si fanno le “grandi scoperte”. Per me, ad esempio, la letteratura, l'arte, sono state scoperte che ho fatto a quell'età, ma al di fuori della scuola, ed erano scoperte proprio per questo. Erano il mondo, quello che nel mondo ci si poteva aspettare di trovare di bello. Sembra un po' tutto leggendario, a quell'età.  Ma per tornare alla faccenda dei nomi, e qui si potrebbe parlare a lungo, e vedere quanta poca importanza abbiano in un certo tipo di narrativa, come quella di Moravia & Co., piena di nomi come Desiderio, Serafino, Agostino ecc., che non danno la minima idea di un personaggio, bisogna rendersi conto che dietro a un nome, come dice Celati, c'è una tonalità, ed è da questa tonalità che scaturisce l'individualità di un personaggio, da cui a sua volta può scaturire non solo una storia ma anche il modo di narrarla. Certo, se come è capitato in certa narrativa sperimentale, un personaggio si chiama C. e l'altro A., questo discorso non vale più.

-C’è un personaggio al quale nel tempo ti sei affezionato? E qualcuno nel quel ti senti un po’ te?
 
Sì, a tutti i personaggi del libro, ma in particolare al giocatore di bocce, dato che sono stato almeno per quattro anni un appassionato di questo gioco. Siccome però ero una schiappa, ho fatto poca strada. Ma ho continuato a guardare con ammirazione quelli che lo praticavano, che secondo me sono grandi artisti, in genere vecchi operai o artigiani,  che sembrano macchine perfette e non sbagliano un colpo con la boccia in mano. Anche quella è arte, un insieme di concentrazione, abilità, astuzia e temperamento. L'altro personaggio a cui mi sento molto vicino, è l'ultimo, quello che in teoria avrebbe scritto il libro durante una visione da lui avuta davanti a un campo di calcio in cui si disputa una partita fra la squadra sgangherata di tutti i personaggi (morti) dei vari racconti e una squadra super in forma chiamata “Mercatone”. Al campo il personaggio, denominato “il figlio di Socetti”, innamorato non corrisposto della sua compagna di classe Portinari,  è stato condotto dal suo cane che era morto un anno prima. E poiché per il giorno dopo deve scrivere un tema su un evento straordinario a cui ha assistito, decide di scrivere ciò che vede in quella stramba partita. Ma ciò che vede è una visione, non è qualcosa di reale, perché di fatto in quel campo si sta solo allenando una squadra di dilettanti. E' stata la sua testa abituata ad andar fuori tema e per questo a penalizzarlo nel suo rendimento in italiano, a fargli prendere ancora una volta la strada sbagliata. Fortuna vuole che proprio la sua compagna Portinari lo vada a cercare ai bordi di quel campo e lo riaccompagni a casa, mentre lui, sentendosi forte come Dante, le legge il suo scritto alla luce dei lampioni. Ecco, io, qui, messo fra mille virgolette, volevo fare un richiamo a Dante nel momento in cui viene condotto in Paradiso da Beatrice, dato che Portinari era il cognome di Beatrice, ma di tutti quelli che hanno scritto una recensione al libro quando è uscito nel 97, solo uno ci ha fatto caso. E dire che per me era tutto lì.
 
Sapresti dire a chi non l’ha letto ancora, perché nonostante sia un libro di racconti, tu lo senti meglio rappresentato come romanzo, o meglio che si scopra man mano nella lettura?
 
No. Questo libro non è un romanzo, ma nemmeno una raccolta di racconti. Per il semplice fatto che esiste una cornice (il racconto finale), nella quale ricompaiono tutti i personaggi del libro e altri personaggi vengono ripresi qui e là nei vari racconti. Si tratta di racconti, questo è certo, ma non solo di una raccolta di racconti. 

A cosa o a chi devi l’idea di questo libro, da cosa è scaturita?
 
In parte al Terzo poliziotto di Flann O'Brien, un romanzo nel quale il narratore scopre di essere morto vent'anni dopo la sua morte; in parte alla traduzione che in quell'epoca stavo facendo dei Dubliners di Joyce, libro che contiene un racconto, quello finale, intitolato I morti, che spalanca grandi fantasie su questo tema; e in parte a vicende mie personali.   

Questa edizione di Silenzio in Emilia (Quodlibet 2009) è una ristampa , la prima edizione era Feltrinelli ed. ’97 è cambiato in questi anni il modo di percepire questo tuo lavoro, o resti fedele a quelle sensazioni di allora?

Be', non ho visto molto interesse per questa ristampa, dato che non è uscita neanche una riga sui giornali. All'epoca della prima edizione, qualcosa si era mosso, il libro aveva avuto buone recensioni, aveva vinto un premio ed era arrivato finalista a un altro, su segnalazione della scrittrice Marta Morazzoni, che, a parte questo, stimo moltissimo. Ma credo che da allora siano cambiate parecchio le cose nell'editoria. Molte erano già cambiate dalla fine degli anni settanta ai novanta, ma dai novanta in poi è stato un macello. Adesso fai presto a finire al macero se non vendi. E gli editori ti stimano solo se vendi. Puoi aver scritto una puttanata ma se vende, l'editore ti guarda bene. Ed è logico, perché questa è la logica del mercato.  Per quanto riguarda il mio libro, alcune cose non le scriverei più. C'è un atteggiamento di fondo che non sento più d'avere. E poi un sentimento per il valore del passato che oggi preferirei tenere per me, senza metterlo a repentaglio in un racconto. 

Cos’è che ancora ti piace dello scrivere, e cosa invece non ti piace più?

Scrivere è bello quando senti di avere qualcosa per le mani. Purtroppo molte volte non è così, e allora più che scrivere si cincischia, si va alla ricerca di cose da raccontare, e in fondo lo scrivere può anche avere questo senso, di scrivere per sapere cosa si è scritto. Ma è una pratica che non può trasformarsi in metodo e allora sarebbe molto meglio aver le idee chiare fin da subito, con un soggetto da sviluppare secondo l'andamento di una trama da suddividere in varie fasi, come fanno gli scrittori americani o quelli nostrani che imitano gli americani. Il problema è che in Italia questa faccenda dello scrivere è avvolta da una tale, direi quasi comica, aura di narcisismo, che vien da ridere se poi si guardano i risultati. In America, straordinari scrittori di genere come Dashell Hammett, Jim Thompson e Philip Dick, producevano romanzi e racconti a getto continuo senza aspettarsi nulla, tranne i pochi soldi per i quali scrivevano. Il loro era un puro lavoro manuale non diverso da qualunque altro che il destino li avesse portati a fare. E proprio qui sta la loro grandezza. L'America è una terra rude che dà poco spazio alle sofisticazioni intellettuali e questi erano scrittori che non pensavano alla letteratura perché lo scrivere per loro era solo un modo di stare al mondo. Mentre qui da noi ecco che tutti, non appena pubblicano un libro, vanno a vedere in che posto sono stati messi nella letteratura e cominciano a sgomitare per farsi largo secondo una scaletta di affermazione che, partendo dal basso, procede in un modo che fa più o meno così. Prima bisogna scrivere e poi pubblicare, e quando hai pubblicato devi rispondere alla domanda: Con chi? Tu dici con un grande editore, e così ti arriva subito la seconda domanda: 
Hai avuto recensioni? E se sì, dove? Perché c'è una bella differenza fra essere recensiti da un quotidiano nazionale di grande importanza ed essere recensiti nella pagina locale della gazzetta della tua città. E se ti hanno recensito sul quotidiano nazionale, da chi sei stato recensito? Perché c'è una bella differenza anche fra i critici. Ma diciamo che sei staro recensito da uno importante, così che possano scattare le domande successive: E di premi, nei hai vinti? Ti hanno invitato a leggere da qualche parte? Sei stato a Mantova, Roma, Parma, Modena? A Modena fanno il Festival di Filosofia, cosa c'entro io? Eh be', sei uno scrittore, invitano anche gli scrittori a Modena, gli scrittori, i pittori, gli idraulici e gli elettricisti. E poniamo che siate stati invitati a tutti i festival, e dunque abbiate risposto di sì, questo non vi mette al riparo da un'ulteriore domanda. Ma tu, dice, un agente ce l'hai? Certo che ce l'ho. Questa dell'agente è un'altra di quelle trovate americane che qui da noi buttano male, anche se il poter dire da parte vostra, all'inizio di un discorso: “Il mio agente s'è fatto in quattro...” o cose del genere, potrebbe farvi balzare dritti nell'Olimpo di chi conta, soprattutto per quell'uso del possessivo “mio”, uguale identico a quello che sta nel gradino superiore, quando lo scrittore, consapevole di esserci arrivato, sente di poter dire: “Il mio editore!” Quando uno scrittore dice “Il mio editore”, significa che ha toccato l'apice. Gli scrittori che dicono “Il mio editore” guardano il mondo dall'alto al basso. Ma solo per poco. Perché è in agguato un'altra domanda: Ti hanno tradotto all'estero? Certo che mi hanno tradotto, mi hanno tradotto di qua e di là. E poi vi mettete a parlare del vostro editore francese, di quello inglese e di quello americano. Nessuno, badate bene, parlerà mai di un editore paraguayano, ma tutti di quello francese, inglese e americano. E hai avuto premi anche all'estero? Certo che li ho avuti. Il nostro interlocutore a questo punto è spiazzato, non sa più che pesci pigliare, è smorto e sembra perfino dimagrito. Sta lì imbaciucchito dalle sue stesse domande fino a quando non gliene viene in mente un'altra: Il Premio Nobel però l'hai mica vinto? E voi: Quello è un premio di rappresentanza dove conta l'influenza delle ambasciate. Ti risulta che l'abbia vinto Kafka, o Proust, o Musil, o Celine, o Joseph Roth? Dopodiché si tace. Magari intorno s'è fatta primavera e ognuno sente che sta per capitargli qualcosa di bello. E' questo che non mi piace dello scrivere. Che tu fai delle cose e poi queste cose vengono giudicate in base al chiacchiericcio condominiale. Oggi poi che esiste internet, si fa presto a valutare dal buco della serratura la tua affermazione. La si vede dal numero di siti in cui ricorre il tuo nome. E tutti lo vanno a cercare, bada bene, è come se oggi tutti si facessero delle gran seghe non più guardando i siti porno ma quelli che riguardano il tuo nome. Io non lo so, ma secondo me c'è qualcosa di malato nell'aria, come forse c'era prima che crollasse l'Impero Romano che appunto deve essere crollato perché c'era qualcosa di malato nell'aria. E' come se tutti fossero dei debosciati. Ma forse è sempre stato così. E alla fine, per chi scrive, non rimane che appoggiarsi a quella famosa frase di Beckett che dice: Non c'è più niente di cui scrivere, niente da cui scrivere, niente per cui scrivere, tranne l'obbligo di farlo.
 
 Sempre la morte non sembra una dimensione poi così tragica, ma davvero onirica, una dimensione di amnesia  di farneticazioni, di fantasticazioni, ma anche di naturalità…
 
Noi ci immaginiamo la morte con la nostra coscienza di vivi, che ci farebbe dire: Sono morto.  Ma questo è impossibile. La morte è indicibile. La possiamo immaginare, ma rimane al di là della comprensione. Ed è questo che la rende oggetto di fantasie narrative. Il non sapere contrapposto al sapere come punto di vista adottato da chi scrive. Chi scrive decidendo di non sapere brancola nel buio mentre chi scrive sapendo tutto va giù spiano con le sue cinquecento pagine, e buon per lui, bravo, arrivederci.
 
Chi è in grado di scrivere? Ieri e oggi, non voglio nomi, ma chi è capace di scrivere cose degne.

Oggi scrivono tutti. E' difficile dire chi passerà alla storia. Vent'anni fa volevano tutti fare i fotografi; trent'anni fa i pittori; quarant'anni fa i cantanti beat o i rivoluzionari. Quello che è certo è che, oggi come allora, ma oggi in maniera più evidente, tutti vogliono essere qualcuno, al di là del loro mestiere. C'è una tale smania di protagonismo nella nostra epoca, che c'è da rimanere allibiti.  Se non scrivi, o dipingi, o fai fotografie, o suoni musica, puoi sempre cercare di agitarti per vedere il tuo nome stampato da qualche parte attraverso un assessorato,  o come organizzatore di reading, presentazioni, conferenze, in modo da avere un serata in cui puoi vivere di luce riflessa, magari a cena, con il grande nome che hai invitato, e a cui, dopo aver pagato il conto, infili nella tasca il libretto delle tue poesie. E' indubbio che ci sia un grande produzione letteraria, oggi in Italia, coperta dalle case editrici. Sai quante case editrici sono nate dal 1998 al 2003? Dieci? Venti? Trenta? Quaranta? Cento? No, 553! Un numero strabiliante, secondo me.  Vuol dire che la cosa rende, ma anche che finisce lì, nella rendita, non nella qualità.

Un tuo desiderio riguardo la scrittura, se ci fosse.

 A me piacerebbe che le cose dell'editoria tornassero a com'erano quarant'anni fa. Quando la casa editrice Einaudi aveva le sue belle collane di scrittori sperimentali con dentro Arno Schmidt, Le-Clezio, Claude Simon, Peter Weiss, Samuel Beckett, e addirittura Heissenbuettel, o quella collana in cui bisognava tagliare le pagine, nella quale erano stati pubblicati La banda dei sospiri di Celati, L'arrivo della lozione di Vassalli, e lo straordinario libro di Ghizzardi, Mi richordo anchora. Mi piacerebbe che ci fosse un editore coraggioso come quello francese delle Editions de Minuit, o quello americano della Grove Press. Che pubblicavano Robbe-Grillet, o Samuel Beckett quando Samuel Beckett era un esule irlandese a Parigi, rifiutato da quarantadue case editrici inglesi, che mandava in giro sua moglie per non esser lui ad incassare l'ennesimo rifiuto. Questi editori avevano il fiuto e non correvano dietro ai soldi. E se oggi hanno quattro cinque sei dieci premi Nobel fra i loro autori è perché amavano la letteratura e la capivano. E così mi piacerebbe che in giro ci fosse uno di loro. Per cinque minuti, non di più.

                        Gisela Scerman 2010 (c)


26 marzo 2010

Intervsta a Bernhard (1)

Mi piaceva l'idea di poter leggere tutte le interviste di Thomas Bernhard che ci sono in rete, purtroppo la mia ignoranza in inglese rende poca giustizia alle succulente risposte che son state gentilmente tradotte in italiano da Daniele Benati. Posto qui questa parziale intervista fatta a Bernhard dal giornalista fatta nel 1986 da Werner Wögerbauer; traduzione di Daniele Benati.


Thomas Bernhard: Spero dunque che non le darà fastidio se continuo a leggere il giornale.

Werner Wögerbauer: No, affatto..

Dovrà farmi una domanda se vuole avere una risposta.

A lei interessa il destino dei suoi libri?

No, non molto.

E le traduzioni dei suoi libri, ad esempio.

Ho poco interesse per il mio, di destino, e certamente non ne ho per quello dei miei libri. In quanto alle traduzioni, cosa intende?

Sapete cosa accade ai suoi libri in altri paesi.

Non mi interessa per niente, perché una traduzione non è più lo stesso libro. Non ha assolutamente niente a che fare con l'originale. E' un libro della persona che l'ha tradotto. Io scrivo nella lingua tedesca. Ti spediscono una copia questi libri e i casi sono due: o ti piacciono o non ti piacciono. Se hanno brutte copertine ti danno solo fastidio. Sfogli le pagine ed è finita lì. E' una cosa che non ha niente in comune col tuo lavoro, a parte i titoli bizzarri. Giusto? Questo perché la traduzione è impossibile. Una composizione musicale è suonata allo stesso modo in tutto il mondo, a partire dalle note scritte, ma un libro dovrebbe sempre essere suonato in tedesco, almeno nel mio caso. Con la mia orchestra!

Ma se lei proibisce che in futuro si facciano rappresentazioni della sua opera teatrale “Il riformatore del mondo”, vuol dire che a lei sta a cuore il destino delle sue opere.

No, perché “Il riformatore del mondo” è stato scritto per un attore in particolare, e questo perché sapevo che era l'unico attore che poteva rappresentarlo, all'epoca, dato che non c'erano altri vecchi attori come lui, quindi mi è venuto fuori in maniera naturale. Non c'è nessun senso a farlo rappresentare da uno stronzo di Hannover, non ne verrebbe fuori nulla di buono. Se ci sono solo problemi in vista, meglio non farlo.


Come si spiega il fatto che lei è presa molto più sul serio all'estero che non in Austria, che di fatto all'estero i suoi libri sono letti mentre in Austria lei è principalmente considerata come una persona che crea degli scandali?


Questo perché fuori dall'Austria, nei paesi di cultura romanza e slava, c'è un maggiore interesse per la letteratura in generale. La letteratura gode di uno stato che qui è totalmente assente. Qui da noi la letteratura non ha nessun valore. Ce l'ha la musica, ce l'ha il teatro, ma qualunque altra cosa ne è completamente priva. E' sempre stato così.

Appena ti mostri gentile con qualcuno per strada, la gente non ti prende sul serio, anzi è sufficiente a farti considerare un pagliaccio. Quello che fa una persona del genere non può avere nessun valore. E' come nella vita famigliare. Se cresci in una famiglia, perfettamente normale, con i divertimenti che si hanno di solito nell'infanzia, poi per il resto della tua vita la gente ti dirà che sei un ciarlatano, che non va bene, che il ragazzo che non fa nient'altro che scherzare dovrebbe invece lamentarsi di come cucina male sua nonna. E questo ti segue fin nella tomba. E la stessa cosa vale per lo stato e la nazione. Se ti mostri gentile con gli altri, sei finito. La gente ti tratta come un comico da cabaret, tutto qua. E in Austria, tutte le cose serie vengono trasformate in cabaret. Qualunque traccia di discorso serio finisce nel ridicolo. Gli austriaci riescono a tollerare la serietà solo come barzelletta. In altri paesi esiste ancora il senso della serietà. Anch'io sono una persona seria, ma non lo sono sempre, chiunque diventerebbe matto ad esserlo sempre e sarebbe stupido se lo fosse. Le cose stanno così.

Eccelso


















Se ci guardiamo intorno, ci accorgiamo di essere circondati soltanto da ridicolaggine e meschinità. Quel che importa è sottrarsi a questa ridicolaggine e a questa meschinità. Fissare lo sguardo sull'eccelso!

23 marzo 2010

Ancora amare















Oggi son felice perché ho terminato il nuovo libro :)
insomma terminato di scrivere la prima stesura, poi il lavoro più faticoso verrà poi, ma voglio che sia poi la fatica di pensare a come e quando. Adesso riparte la trafila con gli editori, accordi e disaccordi. Ma questo è sempre un problema che sembra vada ad infangare in qualche modo lo spirito primigenio che la scrittura dovrebbe portare in sé...

Un pò mi rammarico che anche il mio spirito non è quello quel primo libro, nemmeno quello del terzo in cui penso di aver messo molto della mia vita, ma la coerenza delle volte viene dettata non solo dalla propria integrità animica, (e per dire questo mi dovrei presuntuosamente sentire integra :) ) , ma intaccata dai compromessi che inevitabilmente si incontrano oggi più che mai in quella pacca degli squali da classifiche.
Ci sono tante altre cose buone, una che la verità è una pietra, e come tale rimane, al di là del tempo delle congetture, e paga perché inscalfibbile se usando un termine scorretto si può dire, te la ritrovi oggi domani tra cent'anni e più, probabilmente già c'era ed aveva bisogno di un mezzo per esistere, e restare eterna nell'avanti che la potrà riconoscere, in quell'ombelico universale che unisce gli essere e gli eventi tra loro, quelli solo che si possono e la possono riconoscere naturalmente. 
E' chiaro che il presente oggi più che mai richiede applausi.
Mi fa molto specie l'accanimento ad esistere, sia con una pubblicazione, con il dimostrarsi qualcosa per essere, quando tutto questo snatura il principio primigenio, nobile, del riconoscimento in quanto essere, non dell'essere in quanto riconoscimento. 
Ma identità e coscienza oggi più che mai vivono una gran confusione, e nella confusione le anime sono più fragile, si convincono di tante cose, tutte possibili apparentemente, ma quanto vere?

Ho deciso ormai da qualche tempo di differenziare il blog da quelli che sono argomenti più leggeri, 
a quelli più sentiti, inutile dire che l'altro fa cinque sei volte i visitatori che fa questo, con tanti di commenti, e però io sono fiera di tenere questa linea, pur avendo perso tantissimi passanti negli ultimi due anni.

Spesso non sono convinta nemmeno io di scrivere qui, perché poi i libri vivono altrove, allora le cose a cui si tiene molto, forse è meglio lasciarle alla carta stampata. le cavolate, pagano un secondo della giornata, così come i passanti che spesso non sono nemmeno simpatici, o devono dire la loro cavolata paragona ad un altra cavolata, ma non è più una critica le giornate sono anche questo. 
Insomma, io ringrazio quei dieci :) che so che ci sono coerentemente da anni, non quelli che arrivano per far statistica, quei dieci sempre quelli ! che non se ne sono andati... comunque vada che vada bene a tutti quelli che nonostante questo mondo sanno ancora amare...

gisy

21 marzo 2010

Pretesa

"Non sai che ognuno ha la pretesa di soffrire molto più che gli altri?"


Balzac, La pelle di Zigrino.

19 marzo 2010

Il limite



Ragazzi c'è un limite allo stupore, e quel limite si chiama infarto.



g

14 marzo 2010

Gianni Celati:"sonetti del Badalucco nell'Italia odierna"

Quando escono libri come quello che è appena uscito di Gianni Celati, penso che ci sia ancora un pò di speranza nell'editoria.
Un altro stupore agghinda il pensiero, nel susseguirsi delle pagine, "Sonetti del Badalucco nell'Italia odierna" - raccolta di sonetti del celebre attore Attilio Vecchiato :) -  che in fin di morte disse "Qui va a finire che ci obbligheranno a bere dell'olio di ricino per far penitenza delle nostre idee, come è già successo in passato"

Io penso che sia una grande analisi dell'Italia moderna ! nonché del mondo...vale davvero la pena sciropparselo. fino l'ultima riga. Celati non delude mai.

Ne riporto uno di sonetto



Freddo è questo mondo che passa

Freddo, freddo, questo mondo che passa,
voi non sentite com'è congelato?
E noi attori dovremo col fiato
riscaldare la sia vecchia carcassa?

Da ricchezze e comfort ottenebrato
una freddezza taccagna lo squassa;
e il pubblico con sguardo che ti glassa
scruta in scena l'attore assiderato.

Che pazzia voler sciogliere la massa
del gelo cosmico con un belato!
Ma anche ambire ad un comfort assicurato
pagando al becerume la sua tassa!

Freddo polare, brrr ! com'è ridicolo
smerciar da artista ardente il proprio articolo!

12 marzo 2010

Angelo Izzo: possibile che le donne inseguano i criminali ?

Io non ho parole, persino Angeli Izzo si è sposato.
Mi fa davvero impressione l'idea che una donna, possa innamorarsi di uno schifoso come quel criminale. In genere non amo parlare troppo di cronaca, ma questa è davvero grossa, fosse anche amore, per rispetto delle vittime una non si deve permettere di legarsi ad uno scempio simile; ci sono tanti single per bene, no, una si deve mettere col misogino più delinquente che abbiamo conosciuto pubblicamente in Italia.

Se invece fosse arrivismo, (cosa non si fa pur di far parlare di sé) cosa da non scartare - bé allora lo schifo quadruplica.
Forse quella giornalista. Donatella Papi, ha il sogno inconscio masochista di farsi ammazzare.

Personalmente ho seguito tutti i processi di quell'uomo nell'auto-compiacersi dei crimini commessi, Corona le date degli omicidi come fossero compleanni (sia Circeo che quelli dopo) ridendo in faccia agli inquirenti, con quel disgusto sorriso che sottolineava il proprio sadismo nel descrivere i modi in cui aveva ucciso e fatto uccidere, dicendo che le donne le ha sempre considerate dei pezzi di carne, perché quella della misoginia degli anni '70 era anche una moda, e poi una rincoglionita, o pazza, dice che questo è l'uomo della sua vita,  che anzi, lui è un uomo dai nobili sentimenti. Queste son le sue parole precise "Angelo è uomo con un enorme patrimonio spirituale, è dotato di un autentico codice sentimentale, che ha alle spalle una grave situazione, ma non per questo non ha il diritto di sposarsi»
 
Sia ben chiaro non credo ad una parola di quella sporca giornalista, chiunque abbia visto una sola volta aprir bocca a quel pluriomicida non  può pensare a qualcosa di buono o di assolvibile, nemmeno con le più buone intenzioni. o è malata, o è malata e per questo avrebbero dovuto impedire un matrimonio simile, ma non solo per lei proprio per rispetto di quelle uccise. Poi certo la vita è sua, e quella delle vittime era loro.

Io dico vergogna a nome delle donne e dei famigliari delle vittime

11 marzo 2010

E' una giornata ideale per i pescibanana

Bè ecco, io oggi son felice perché da un raccontino delle storie fancazziste, è stato tratto un cortometraggio.

Regia  di Maurizio Failli
 

08 marzo 2010

Siti assolutamente da bannare

Girando un pò su internet son rimasta davvero colpita dal fatto che possano esistere aperto al pubblico dei siti pro-anoressia, e pro-bulimia,ai quali può avere accesso chiunque, minorenni incluse.

La cosa shoccante è che ci sono consigli amatoriali

-su come indurre il vomito, al fine che gli alimenti eventualmente ingeriti non vengano assimilati, specificando di non ingerire alimenti rossi che al momento dell'espulsione eventualmente si può confondere con il sangue.

-escamotage per non far vedere ai genitori, fidanzati, talvolta mariti che si vomita, e non si mangia incredibile sotto le feste le scuse che si inventano) e la solidarietà nel pensare nel voler pesare anche a 38 - 40 chili si rappresenta la perfezione.

La media dei visitatori per lo più donne è dai 13 ai 25 anni, con eccezioni naturalmente. Non mi capacito come sia possibile lasciare accesso libero a tutto questo, quando siti con contenuti sessuali vengono bannati di giorno in giorno (e non mi lamento) ma se giusto la censura si abbatte su questo blog, tanto più dovrebbe farlo con quest' altri che danno modo a queste ragazze con serissimo problemi della percezione del sé,  a mantenere una solidarietà su una cosa non solo inaccettabile, ma se spinto oltre una certa soglia pericoloso per la vita fisica stessa, oltre che per quella psicologica.

Ovviamente qualunque nutrizionista e dietologo consiglierebbe cure psicologiche prima che fisic he a queste ragazze, o sicuramente se anche ci fosse qualche chilo di troppo, le soluzioni non si possono trovare in questo modo.

Guardare per credere



Aiuto ! Bisogna fare qualcosa !

05 marzo 2010

Bisogna Che




















Bisogna che

Sapete 

Che io penso
che
questi scrittori moderni
senza un che
non saprebbero di che
cosa scrivere.

la loro vita è tutta una congiunzione
che c'hanno 29678 ossa nel corpo
mica 206

che questi scrittori
al prete che va sul letto di morte
che gli dà l'estrema congiunzione

gli dicono

che è venuto a fare?
A darvi l'eterna congiunzione?
Che?!
a proposito, che ne pensa dei mica?
Anche quelli

mica una cosa da ridere
negli scrittori moderni
che non se ne accorgono mica
che significa
se gli dici "sarai mica uno che scrive?"

04 marzo 2010

Questo blog

Io oggi volevo dire che anche se non sembra, ci sono, solo che sto scrivendo di più proprio i libri - e quindi in questo periodo e mi dedico meno al blog più sentimentale che tengo, che  senz'altro  questo, (e quello a cui tengo di più) perché anche il sentimento quando si dà, ha una sua fonte che si può esaurire non tanto per l'intensità stessa, ma per la fatica fisica di esprimerlo, e quindi delle volte devo scegliere se il blog o scrivere, e ora sto scegliendo scrivere, e postare cose brevi.

Un pò mi è venuta la delusione che questo blog sta scendendo di visite, del resto è normale visto che non posto più cose troppo sconce :), mentre l'altro più hard (che ho deciso appositamente di tenere separato da questo) sta trasbordando di visitatori, questa è sempre la prova che le cose ovvie interessano sempre di più, anche se si può eresse interessanti anche nell'ovvio, ma questo è un altro discorso ancora.

A parte questo.

Stamattina ero particolarmente felice quando mi sn svegliata  a sentire la pioggia che batteva fuori, e io che son mezza influenzata mi son sentita quasi rassicurata che ho acceso il riscaldamento, e mi pareva di essere tornata indietro di qualche anno, che non c'è nulla di più rassicurante di un tè, un piumino e quattro mura. E sapere il bene che le gente ti vuole, nonostante la miseria.

Che vorrei anche dedicarmi più tempo a quella poesia, agli autori che mi hanno slavato la vita, pensieri, fatti e misfatti di tutti i giorni che rendono irripetibile la vita... di non pubblicare più le interviste che mi vengono chieste, anzi lo scriverò espressamente, detesto quelli che non conosco e si offrono a farsi intervistare. Ce n'è un sacco non vi credete!


Che anche se sto scrivendo il libro ho sempre in mente anche il blog, questo intendo, e presto che sarà finito, tornerò, come prima più di prima, come sempre amerò...

Intanto un caro saluto...

gisy